TOM A LA FERME, il thriller claustrofobico di Xavier Dolan

Tom sta guidando da ore, deve raggiunge una fattoria nel mezzo del Canada. Tom sta andando al funerale di Guillaume, il suo compagno, il suo grande amore e ora pensa di incontrare la sua famiglia per condividere un’ultima volta il forte legame che li univa. Invece, a breve, si ritroverà difronte una madre ignara di chi fosse il figlio appena perso e un fratello maggiore, con intenti minacciosi, intenzionato a prolungare quella bugia all’infinito.

Lontano dalla città, solo e in balia di ricordi ed emozioni forti, sottoposto a una snervante pressione da parte dell’ambiguo Francis (Pierre-Yves Cardinal), Tom cade presto in un limbo in cui l’angoscia regna sovrana e i sensi perdono l’orientamento. Il risultato è che una volta nel vortice, non ha più la forza di separarsi da quel luogo e quelle persone e noi non siamo sicuri rivedrà Montreal.

Photo: courtesy of Movies Inspired

TOM A LA FERME è il quarto lungometraggio firmato da Xavier Dolan. L’opera è stata presentata in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia tre anni fa ma solo oggi arriva nelle nostre sale, forte dei successi ottenuti nell’ultimo periodo. Adattamento dell’omonima pièce teatrale di Michel Marc Bouchard (che ha collaborato con il regista alla stesura sceneggiatura), la pellicola si presenta come un dramma ad alta tensione con momenti che arrivano a sfiorare l’horror. Una miscela che si rivela esplosiva e vincente: in quel gioco di sguardi, verità non dette e situazioni oscure, l’audience è colta alla sprovvista e si ritrova senza difese, completamente rapita, sedotta, da Tom e la sua storia.

Nella solitaria fattoria, al suo fianco, ci siamo quindi anche noi e in alcuni momenti la paura è tale da indurci ad allungare il braccio nel tentativo di scuoterlo e urlargli “salvati!”. Assistiamo increduli al crollo e ci sentiamo impotenti difronte a tanta follia. Perché il povero ragazzo (interpretato dallo stesso Xavier Dolan, con una chioma insolitamente bionda), sembra forte ma è emotivamente fragile e in questa breccia la psicosi può crescere indisturbata. Un’alienazione che riconosciamo e temiamo, perché ogni giorno miete vittime tutto intorno a noi. Un’inquietudine che l’autore pare saper riprodurre cosi bene da toglierci il fiato.

Photo: courtesy of Movies Inspired

Sono la claustrofobia e l’ansia a farci vivere ogni fotogramma come fossimo delle comparse. Non percepiamo lo schermo e non badiamo al fatto che tutto si svolga in pochi ambienti fra tre individui. Ma il giovane cineasta è fatto cosi: ci strazia l’anima a cadenza regolare con il suo cinema-uragano. Dolan a ogni nuova prova ci scatena un’eruzione di emozioni difficile da arginare, con quella luce sempre calda, rovente, che ci rende l’aria pungente e quel formato che varia inaspettatamente per far apparire tutto più pesante e stretto, che travolge lo spettatore.

TOM A LA FERME nasce poco dopo il dolce e straziante Laurence Anyways, viene portato non a Cannes bensì a Venezia. Diversa la trama, diverso il genere e diversa la platea, medesimo il risultato: ottiene una standing ovation e viene premiato – nonostante nessuno sapesse che di li a poco sarebbe nato il magnifico Mommy.

Rivedere oggi TOM A LA FERME, ha un gusto diverso: siamo avvolti da una magia nuova. Rimaniamo incantati nel notare i particolari, le similitudini, le evoluzioni, le conferme di uno stile, di piccoli vezzi e di quelli che diventeranno i segni distintivi di un autore da amare incondizionatamente. E allora ecco che un tango intriso di cattive intenzioni diviene la più sensuale e terrorizzante danza del destino e il simbolo di tutto un film, che vola veloce all’epilogo e si guadagna un posto nel nostro cuore.

Vissia Menza

 

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