Il cinema contemporaneo, quello più soggetto alle leggi del mercato, soffre di una malattia – che spesso viene considerata un pregio – dal momento che permette di fondare interi franchise su di essa: la targetizzazione.
Individuare un fascia di riferimento significa parlare ad uno specifico pubblico, attirarlo nelle sale con campagne promozionali ad hoc, circoscrivendo un raggio di interesse nel quale tutta la narrazione deve concentrarsi, senza mai, neanche per un secondo, distaccarsene.
Disney si è dimostrata, da anni a questa parte, una delle case di produzione con il sesto senso per il target più spiccato.
Molte delle sue pellicole si rivolgono ad una frangia di fruitori mirati, delineata con precisione (si veda la filmografia Pixar ma anche l’ultimo Star Wars: Il Risveglio della Forza, così come l’animazione più tradizionale), eppure quasi sempre riescono a catturare anche un’enorme quantità di spettatori collaterali che possono gustarsi il prodotto finito apprezzandolo grazie alle svariate chiavi di lettura.
Alice attraverso lo specchio purtroppo non appartiene a questa categoria. La principale debolezza del lungometraggio è legata proprio a degli insormontabili problemi di definizione del pubblico che lo rendono un fantasy incerto e senza mordente.
Il sequel di Alice in Wonderland firmato da Tim Burton è costruito per puntare ad una fascia di età compresa tra i 9 e i 15 anni, non per forza di appassionati dei libri di Alice, e ‘divoratori’ di un cinema molto visivo e poco scritto.
In Alice attraverso lo specchio ritroviamo i protagonisti di sempre, tra cui un Cappellaio Matto privato della sua forza vitale e dell’allegria che lo contraddistingue. Cosa gli sarà successo? Alice dovrà viaggiare attraverso il tempo per risolvere il mistero prima che sia troppo tardi.
Questa trama, assai liberamente tratta dai romanzi di Lewis Carroll, apre al regista James Bobin la possibilità di condurre lo spettatore in un viaggio immaginifico straordinario ma mai veramente efficace. Bastano poche note della splendida colonna sonora di Danny Elfman per entrare nel Sottomondo di Alice. Il 3D è usato in maniera particolarmente immersiva, tanto da risultare quasi essenziale, data la composizione profonda di alcune inquadrature e le continue illusioni ottiche (lontano e vicino). La rappresentazione è curata in maniera meticolosa e sfoggia una vastissima gamma di colori, mostrando il lavoro eccellente svolto nello sviluppo degli effetti grafici originali.
È un peccato quindi che Alice attraverso lo specchio abbia difficoltà a focalizzare l’obiettivo e la storia che vuole raccontare, rimbalzando tra avventura, viaggio di formazione e la parentesi intima dei rapporti familiari. Il film inizia con un prologo volto a caratterizzare il personaggio di Alice ma finisce per divenire il facile stereotipo della ragazza coraggiosa che si scaglia contro l’aridità di un mondo che non si prende più il “rischio” di usare la fantasia. In questi primi minuti viene introdotto un sotto-intreccio legato alla famiglia di Alice che non viene più ripresa se non nel finale o come piccolo contrappunto metaforico alla vicenda portante. Il Cappellaio Matto (Johnny Depp) e la Regina di Cuori (Helena Bonham Carter) dovranno infatti confrontarsi con gli spettri del proprio passato; Alice si rispecchierà nei due e, risolvendo i loro problemi, imparerà ad affrontare i suoi.
Il montaggio è forse l’anello debole di Alice attraverso lo specchio. Andrew Weisblum non fatica a donare il giusto ritmo alla narrazione, privandola di ogni enfasi e frammentandola troppo presto, prima che si faccia in tempo ad ammirare gli spettacolari scenari in CGI.
Siamo quindi di fronte ad un film godibile per un determinato pubblico, sicuramente senza pretese di fedeltà all’opera da cui prende il titolo, e che valorizza l’intrattenimento sensoriale piuttosto che quello emozionale (preferisce quello che percepisce, vede e sente, rispetto all’emozione che prova). Peccato che si sia guastato qualche lieve ingranaggio nella macchina Disney proprio in questo film che poteva diventare un classico ma che invece resta soltanto una meravigliosa avventura (a suo modo per i pochi milioni di affezionati).
Consigliato a: chi è bambino o chi vuole tornare ad esserlo.
Gabriele Lingiardi
Recensione pubblicata anche su CineAvatar.it
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