Speciale Cannes 2016 – La masterclass di William Friedkin: sempre seguire gli istinti

Uno degli incontri più attesi di questo Cannes 2016 è stato la lezione di cinema tenuta da William Friedkin un paio di giorni fa, che di lezione aveva ben poco ma è stata una divertentissima e interessante conversazione di quasi due ore durante le quali il regista ha ripercorso la sua brillante carriera costellata di pochi film ma tutti dall’incredibile eco.

William Friedkin © Pat York

Classe 1935, nato a Chicago, melting pot di gente (nella città risiede una delle più grandi comunità polacche d’america, oltre a quella tedesca e ispanica) e cresciuto con le note di Miles Davis e John Coltrane sentiti dal vivo, William Friendkin si è avvicinato alla settima arte tardi, grazie a Quarto Potere (visto alla “tenera” età di 21 anni), Alfred Hitchcock e la Novelle Vague.

Nessuna blasonata scuola di cinema quindi, solo oltre 2000 live TV show (da cui ammette di non aver imparato granché) e un primo documentario nato da un istinto: quello di salvare la vita al protagonista, Paul Crump, condannato alla sedia elettrica. E proprio mentre era a San Francisco per ritirare un premio conferito a quel film, s’imbatté nello spettacolo The Birthday Party. Si mise in testa di portarlo dal palco al grande schermo e quello fu l’inizio, la prima trasposizione di una lunga serie di pièce teatrali – l’ultima è stata il sorprendente Killer Joe. Friedkin ci racconta di come il teatro di Harold Pinter gli abbia dato tanto e abbia lasciato un segno sia nel suo modo di narrare per immagini sia nella sua predilezione per gli attori preparatati, che arrivano sul set conoscendo la propria parte e non richiedono scritte sui muri a mo’ di bussola (tra poco scoprirete il perché).

Grato al documentario per avergli insegnato come far vivere le azioni in prima persona allo spettatore, prospettiva che ha usato per esempio in French Connection (da noi: Il braccio violento della legge), è il teatro a essere il pilastro della sua produzione (lui stesso è autore di testi per il cinema e pure per il palcoscenico e l’opera). Amante delle situazioni claustrofobiche, sempre attratto da ciò che può capitare alle persone in piccoli spazi, sedotto dalle paure insensate che attanagliano tutti noi, attaccato alla completezza di uno script ad inizio casting (l’unico film in cui la sceneggiatura non esisteva prima di cominciare a lavorare è stato proprio French Connection, che ironicamente poi ha vinto l’Oscar®), Friedkin si è dimostrato un acuto osservatore, un determinato regista, un uomo al contempo metodico e istintivo, e un perfezionista (possiamo scommettere) con un gran senso dell’ironia (la conversazione è stata inframezzata da numerose battute).

Il cineasta ha passato in rassegna i suoi maggiori successi, si è ovviamente soffermato su L’Esorcista, svelandoci di aver tempo dopo assistito a un vero esorcismo, su invito della Santa Sede, e aver scoperto che quanto aveva realizzato non era eccessivamente distante dalla realtà, una realtà inquietante, senza altra possibile spiegazione. Ci ha però anche fatto divertire condividendo le abitudini di attori come Marlon Brando, che si rifiutava di memorizzare la sua parte e leggeva le sue righe dal soffitto, dalla fronte del partner, da cartoncini che gli tenevano i cameraman, oppure dell’avversione che alcuni attori avevano per la recitazione, tra loro anche il bravissimo Gene Hackman.

Sono state due ore all’insegna del grande cinema, di scene dimenticate, di aneddoti e suggerimenti per i giovani che vogliono cimentarsi dietro la macchina da presa. Si avvertiva l’esperienza, la voglia di conoscere e di essere li. Ci si è riempito il cuore: c’è ancora spazio per i sogni.

Vissia Menza

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