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Lui è tornato. Chi? L’uomo dal carisma grande quanto il continente europeo, colui che ci fa ancora oggi vergognare del nostro passato, la fonte infinita di imbarazzo di chiunque abbia nelle vene anche solo un 1% di sangue tedesco. Esatto, parlo proprio LUI: Adolf Hitler. Una mattina d’estate è apparso in un campetto da gioco in cui dei bimbi stavano filmando le loro partitelle a football indossando la brutta copia delle maglie dei grandi nomi del calcio. Un lampo, uno scoppio, ed eccolo di nuovo tra noi, ancora in uniforme, un po’ bruciacchiato, disorientato ma in ottima forma fisica, pronto a vagare per la moderna Berlino alla ricerca di risposte, per capire cosa sia successo alla sua guerra, al suo dominio, al suo Paese.

E la popolazione? Non si lascia ingannare dalle apparenze, asseconda quella che crede sia una farsa politicamente scorretta, per alcuni eccessivamente sopra le righe, ma accettabile se il gioco dura poco. Il gioco, invece, non durerà un battito di ciglia perché il redivivo Adolf attira l’attenzione di un cameraman alla caccia dello scoop che gli garantisca il posto fisso e, in men che non si dica, lo scomodo Hitler torna ad avere una platea che lo asseconda con un seguito dai contorni inquietanti.

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Oliver Masucci in “Lui è tornato” – Foto © Constantin Film

Impersonato dal bravissimo Oliver Masucci, che si è sottoposto a una dieta ingrassante a dir poco esplosiva, ha rischiato quotidianamente di essere aggredito ed è tornato tra i banchi per studiare i discorsi del Führer, l’Hitler che vediamo su grande schermo si adatta in fretta alla nuova realtà, sfrutta le evidenti paure della popolazione e coglie immediatamente il potere dei media che – ironicamente – non tardano a rimanere sedotti dal suo physique du rôle. Da questo punto in poi, in sala proviamo uno strano mix di divertimento e disagio che sfocia presto in un persistente fastidio.

Il film diretto da David Wnendt sceglie, infatti, il registro della commedia per stemperare la tensione e la drammaticità delle situazioni che si vengono a creare appena l’energico Adolf si perde per le vie della capitale tedesca tra gli ignari passanti. Saranno anche cambiati i tempi – l’innovazione tecnologica ha modificato le nostre abitudini, le città sono colorate e multietniche, la globalizzazione è un dato di fatto e l’Europa non è più quella di 70 anni fa – eppure l’accoglienza che riceve il Dittatore ci incuriosisce, stupisce e pietrifica per più di un motivo. Eccone cinque.

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Fabian Busch, Oliver Masucci e Lars Rudolph in “Lui è tornato” – Foto © Constantin Film

Uno, perché il regista ha realmente mandato in mezzo alla folla il suo attore, il pubblico lo avverte e teme per lui.
Due, perché le situazioni grottesche in cui costantemente si ritrova il protagonista, ce lo rendono simpatico e dobbiamo lottare di continuo con la nostra coscienza per ricordarle sia tutta una finzione.
Tre, perché comprendiamo la semplicità con cui simili folli convinzioni possano attecchire anche nel 2016.
Quattro, perché in cuor nostro sappiamo che Lui è tornato è uscito con un tempismo a dir poco sorprendente e – cinque – tocca argomenti a cui siamo tutti sensibili come la povertà, la frustrazione, l’immigrazione. Aiuto.

La pellicola di Wnendt, che attinge all’omonimo best-seller di Timur Vermes, usa un’ironia gentile per scuotere la memoria storica di chi guarda, vuole intrattenere con una risata intelligente e cerca di farci riflettere su una semplice ma fondamentale domanda: siamo sicuri di essere immuni a intolleranza e razzismo?

Dopo aver travolto il pubblico oltre confine, ora è Nexo Digital a portare il lungometraggio nei cinema italiani per tre giorni (da oggi sino a giovedì 28 aprile). Il consiglio è di consultare l’elenco delle sale in cui è presente (basta un clic QUI) e di non perdere questa brillante trasposizione per il grande schermo delle 400 pagine nate dalla penna di Vermes.

Vissia Menza