Andare a vedere una mostra per me è come affacciarmi a una finestra che dà su un tempo diverso. È come leggere un libro e assaporare – per come sono descritti gli abiti, per le parole usate nei dialoghi – un luogo altro, lontano, passato. Immaginare come le persone si esprimevano, quali fossero i loro valori, come formulassero i loro pensieri. Osservare a distanza, e in maniera mediata, degli uomini vivere una vita a volte anche molto diversa dalla mia. Lo trovo estremamente affascinante. Mi ricorda che il mondo è vario e in perpetuo mutamento, e questo mi dà speranza.

Così domenica ho percorso corso Magenta e sono entrata alla Fondazione Stelline per vedere Gallerie milanesi tra le due guerre.

Arnaldo Badodi, Colpo di vento, 1939.

Arnaldo Badodi, Colpo di vento, 1939.

Pluf, un tuffo a piè pari. Eccomi immersa nell’Italia del primo dopoguerra. Intorno a me manifesti, disegni paroliberi: un vento di energia e vitalità mi assale. Mi guardo intorno e sento profumo d’irriverenza e spontanea sfrontatezza: è il futurismo. Piena d’entusiasmo proseguo, svolto l’angolo della sala e mi trovo faccia a faccia con un pensiero. Mi sporgo in avanti, avvicino il mio naso. Voglio proprio guardarlo bene questo progetto, questa speranza affidata alla tela. Mi immagino Usellini in piedi davanti al suo lavoro,

E

   U

     F

         O

           R

               I

                 C

                   O.

Pazzo d’entusiasmo racconta le sue certezze, spiega come di lì a pochi anni cambierà il mondo. Siamo nel 1926 e Corso di Porta Venezia trasforma l’aspetto della vecchia, bella Milano. La nonna delle case[1], una casettina bassa, piccola, schiacciata tra palazzoni alti e possenti. Mi fa tenerezza quell’abitazione piccina dal tetto rosso, con dei minuscoli balconcini e quattro alberelli tondi dalle fronde verdi. La sento quasi soffocare lì compressa tra costruzioni squadrate tutte uguali, con finestre sigillate e nessun vaso a ornare i piani. Non pesavo che l’avrei mai detto, ma sono felice al pensiero che una tragedia come la Seconda Guerra Mondiale abbia poi fatto da barriera a questo vento di progresso, permettendo a porta Venezia di arrivare fino a noi così come la vediamo oggi.

Gianfilippo Usellini, La Nonna delle Case, 1926, Olio su tavola, 60 x 57 cm, Collezione privata | © Matteo Zarbo

Gianfilippo Usellini, La Nonna delle Case, 1926, Olio su tavola, 60 x 57 cm, Collezione privata | © Matteo Zarbo

Proseguo. Scorro nomi noti in calce a lavori inediti: Guido Marussig, Achille Funi, Arturo Martini, Mario Sironi. Sono le mani degli artisti di Novecento quelle che vedo espresse intorno a me sulle pareti. Li conosco. Li ho incontrati a Casa Boschi di Stefano, al Museo del 900. Mi arresto, colpita da un improvviso guizzo di rosso. C’è un ragazzo assorto dall’aria malinconica[2]. Lo osservo nei lineamenti gentili, mi soffermo su quelle labbra delicate, sfocare, morbide, date a piccoli colpi di carminio: una meraviglia.

Lucio Fontana, Donna Nera, 1938, Collezione Alberto Montrasio, Monza, Foto di Ottavia Mangiagalli

Lucio Fontana, Donna Nera, 1938, Collezione Alberto Montrasio, Monza, Foto di Ottavia Mangiagalli

È l’Italia fascista quella che mi trovo davanti. Rigida, contraddittoria, in affanno. Stremata da una guerra crudele appena conclusa, ignara di essere in procinto di un dramma ancora maggiore; stretta in un Regime autoritario e soffocante in cui le piccole case a misura d’uomo sembrano sul punto di scomparire per sempre. Eppure cosi viva e prolifica nel campo dell’arte, capace di dar vita a quella bocca. Tra gli anni ‘20 e ‘30 le Gallerie d’arte si moltiplicano e diversificano; Milano è centro propulsore di questa frenesia e nasce nella borghesia illuminata del tempo un gusto nuovo e vorace: il collezionismo. Passeggio tra la Galleria Milano con i suoi artisti di Novecento, mi affaccio tra le opere esposte da Gillo Pesaro. Scendo le scale e mi ritrovo tra gli scaffali della Galleria del Milione: ceramiche di Fontana, opere di Sassu, Birolli, il chiarismo lombardo. Il gruppo di Corrente. E infine Kandinskij, una sala totalmente dedicata a riprodurre l’esposizione del maggio 1934 al Milione. Al tempo non fece successo, la galleria vendette le opere per sole 500 lire – il costo di una bicicletta. Ma oggi l’effetto è riuscito: una chicca storica per ricostruire il quadro d’insieme degli anni tra le due guerre.

Questo erano – e sono – le gallerie milanesi: lo specchio delle mille facce di una Milano tutt’altro che ridotta al silenzio.

INFORMAZIONI:

Gallerie milanesi tra le due guerre

Fonzazione stelline

Fino al 22 maggio 2016

www.stelline.it


[1] Gianfilippo Usellini, La nonna delle case, 1926.

[2] Virgilio Guidi, Ragazzo pensoso, 1928.