In concorso a Milano in questi giorni c’è stato anche il film di debutto di Celso Garcia, The Thin Yellow Line. Un dramma on the road che esplora l’animo di un manipolo di uomini insieme per forza sotto il sole del Messico.
Letteralmente sulla strada, poco battuta, nel mezzo del nulla, si ritrovano infatti alcuni lavoratori che devono collaborare e convivere per 200 chilometri. Il loro compito è di tracciare la linea mediana di una strada che unisce due città messicane. In questo viaggio, saranno soli con i loro secchi di pittura, coi loro sogni e con le loro differenze. E così metro dopo metro, notte dopo notte, entriamo nelle loro vite e, giorno dopo giorno, attendiamo il calare della luce per scoprire qualcosa in più del variegato gruppo. I trascorsi di queste persone ordinarie, a cui la vita non ha riservato memorabili privilegi, attendono solo di essere raccontati e noi, in poche battute, cadiamo nella loro rete e rimaniamo affascinati da Toño, il responsabile. Un uomo traumatizzato da un incidente sul lavoro, accaduto anni addietro, che incontra la sua opportunità di rivincita a una stazione di servizio e non se la lascia sfuggire.
Alternando momenti grotteschi (e ilari) ad altri più malinconici (e tristi), la pellicola del film-maker messicano ha un incedere felpato ma ci conduce con decisione al fianco dei suoi personaggi: più li conosciamo e più non riusciamo a lasciarli soli.
Incorniciato da un’ottima fotografia (di Emiliano Villanueva), decisa e incisa, assecondato da raffiche di vento o da afa opprimente e improvvisi scrosci di pioggia, e con la magnifica natura che fa da sfondo alla scena, il racconto poggia su uno script (nato dalla penna dello stesso regista) che non abusa dei lemmi a disposizione e della pazienza dello spettatore e vince grazie all’equilibrata performance del suo cast, in particolare di Damian Alcazar/ Toño. Anche qualora in platea ci fossero persone ancora traumatizzate dalla visione di Prince Avalanche di David Gordon Green presentato in Berlinale 2013, sono sufficienti pochi fotogrammi per scordarne i paragoni. Nessuna noia, nessuna pretesa indie o imposizione autoriale e nessun performer con istinti da primo della classe, in The Thin Yellow Line regna l’umiltà e la voglia di mostrare l’essere umano per quello che è, con le sue imperfezioni e insicurezze, con il suo passato sbagliato e la voglia di andare avanti, con la sua bellezza e innata forza.
Nonostante alcune sequenze non perfette, il film pian piano sboccia e ci regala una storia profonda, dolce, intima, limpida in cui non mancano le sorprese. La visione è consigliata agli amanti dei film quieti, agli esploratori di nuovi mondi e a chi non riesce a smettere di osservare i propri simili domandandosi come sia possibile che siamo tanto diversi ma tutti uguali.
Vissia Menza
Ennio Flaiano amava ricordare che “Il cinema è l’unica forma d’arte nella quale le opere si muovono e lo spettatore rimane immobile.”, ed è Vissia ad accompagnarci con passione e sensibilità nelle mille sfaccettature di un’arte in movimento. Ma non solo. Una guida tout court, competente e preparata, amante della bellezza, che scrive con il cuore e trasforma le emozioni in parole. Dal cinema alla pittura, con un occhio vigile per il teatro e la letteratura, V. ci costringe, piacevolmente, a correre per ammirare un’ottima pellicola o una mostra imperdibile, uno spettacolo brillante o un buon libro. Lasciarsi trasportare nelle sue recensioni è davvero facile, perdersi una proiezione da lei consigliata dovrebbe essere proibito dal codice penale. Se qualcuno le chiede: ma tu da che parte stai? La sua risposta è una sola: “io sto con Spok, adoro l’Enterprise e sono fan di Star Trek”
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