entro al cinema mi siedo e di lì a poco mi ritrovo circondata da un folto pubblico accorso per vedere il film La nostra quarantena e per conoscerne il regista Peter Marcias che insieme a Steve Della Casa ci intrattiene su questa sua ultima produzione
la conversazione è amichevole, le risposte pacate e intelligenti, la sua voce sicura e sincera, mi piace, piace a tutti
la chiacchierata si conclude con i consueti ringraziamenti e saluti coronati da un caloroso applauso
cala
il
buio
in
sala
e
un ritmo lento ci trasporta a Cagliari nella nota vicenda dei 15 marinai marocchini in sciopero nel 2013 perché senza stipendio da nove mesi, uomini in lotta per recuperare i propri stipendi e la propria dignità
Salvatore, giovane studente romano è alle prese con una ricerca universitaria sulla vicenda cagliaritana che lo mette a confronto con una presa di coscienza della cruda precarietà collettiva proprio negli anni in cui si è alla ricerca di certezze, punti fermi cui aggrapparsi con passione
siamo tutti con te
Salvatore
il pubblico presente e perfino quello assente
coraggio
lo studente indaga, riflette, perde le coordinate, quasi sospeso a mezz’aria e noi lì accanto a lui pronti a sostenerlo, cullati dal ritmo lento della storia che ci lascia il tempo di entrare nei personaggi giocando qualche minuto a pallacanestro con il giovane scioperante marocchino dal sorriso fiducioso, ricordandoci il valore della famiglia tanto importante per un altro marinaio, inchinandoci ai sacrifici di una ciurma in rivolta per una giusta causa
seduti nelle nostre comode poltrone, rigidi e con il fiato trattenuto, per tutta la durata del film leggiamo la tensione di un futuro incerto impressa sugli splendidi primi piani di tutti i personaggi
quand’ecco che una nota poetica sopraggiunta dal nulla ci riporta a sognare, un’inquadratura fissa, due voci di sottofondo, due suore in corsa verso una porzione ingigantita di un corpo addormentato sulla spiaggia
dorme
è
morto
no
dorme
è
morto
sì
le nostre menti rimangono affascinate dalla bellezza della scena, l’ingrandimento di una preoccupazione, le nostre bocche sorridono, gli occhi brillano, una sberla e un salto in aria del presunto morto ci regalano sane risate di un trio spensierato, una pausa, le cose si risolveranno o non si risolveranno, chi può saperlo, e intanto le due suore ridono a crepapelle mentre i nostri volti si dipingono di leggerezza
continuiamo a credere nella vita
pare
ci
vogliano
dire
chi
lo
sa
Elisa Bollazzi
Artista e scrittrice si diletta a trasformare in un flusso di parole la sua vita itinerante da una galleria a un museo da una sala cinematografica a un teatro da un incontro con l’autore a una biennale.
Inizia a scrivere a sei anni sotto l’amorevole guida dell’adorata maestra Luigia. Dapprima le vocali: 40 a 40 e 40 i 40 o 40 u in seguito le consonanti, 40 per ognuna e quindi tutte in fila. Di lì a poco vocali e consonanti abbracciate in mille modi all’apparenza indecifrabili: ab ac al am an ao ar as at au av az Ba bo bu Ca cc ci cr cu Da du Aa dd nn pp ss vv zz, inspiegabili suoni che d’un tratto trovano un senso e come d’incanto si trasformano in parole e pensieri. Elisa sa guardare, ascoltare, pensare e ora anche scrivere: il gioco é fatto!
Dal 1990 si dedica con devozione al suo Museo Microcollection
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