entro al cinema con il cervello intasato da mille preoccupazioni, mi siedo e come per incanto l’atmosfera mi rianima, rilascio il fiato, raddrizzo la schiena, resetto la mente quando così, senza preavviso alcuno, sopraggiunge
il
buio
mi immergo fiduciosa nell’ultimo film dell’amato Woody Allen implorando al cielo che la trama sia spassosa
ne
ho
estremo
bisogno
le aspettative sono alte, il cast d’eccellenza, la musica una garanzia
Abe Lucas, professore di filosofia, approda in una nuova università americana e fin dalle prime battute si mostra depresso e disilluso, oh no, proprio questa sera, no, non ne ho le forze, fatemi ridere per carità, portatemi in un luogo felice, voglio sognare, ridatemi speranza almeno in questi 96 minuti di finzione, socchiudo gli occhi, inarco le labbra e mi rannicchio in me stessa scoraggiata, ma la trama è talmente accattivante e l’attrazione irresistibile
che mi ritrovo così diluita nell’esistenza di un uomo alcolizzato che vaga invano nel mondo a caccia del vero senso della vita, esisterà mai una vita che valga la pena d’essere vissuta si domanda Abe e anche noi insieme a lui ormai sovraccarichi di dubbi, la testa piena di tutti i quesiti alleniani, le orecchie confuse, gli occhi in attesa del grande Woody e della splendida New York
Abe
ha attacchi di panico e beve
beve e ha attacchi di panico
parla di estetica, casualità, moralità, teoretica, pensieri intensi che si espandono in sala e riportano me e tutto il pubblico tra i banchi del liceo in compagnia di Kant e Kierkegaard, quanti ricordi riaffiorano nelle nostre menti, mentre il professore continua ad avere
attacchi di panico e a bere
a bere e ad avere attacchi di panico
finché
spunta
lì
dietro l’angolo
l’atteso
colpo di scena
Abe e la giovane studentessa Jill si ritrovano in un bar a sviscerare temi esistenziali come sempre quando casualmente la ragazza sente una donna inveire contro un giudice disonesto che le ha sottratto il figlio, come ha potuto, è una tragedia, che giudice disumano, merita una punizione, Abe si illumina, ha finalmente trovato una giusta causa da perseguire
una
vera
ragione
di
vita
e nelle vesti di un paladino della giustizia si avvia a combattere questa battaglia lungo il sentiero della malvagità sbizzarrendosi in strategie rocambolesche a fin di bene, il sorriso sul viso, i discorsi sereni, la determinatezza al posto del vuoto
che
cambiamento
la tensione è alta, il pubblico freme e si avvolge nelle poltrone incredulo, cerca di intrufolarsi nella mente poliedrica di Woody Allen per capire come si possano produrre certi pensieri ma è difficile districarsi lì dentro ci sono delle noccioline, tante, che rotolano su se stesse producono idee macinano pensieri escogitano varianti
ci
troviamo
spiazzati
Woody è Woody
unico
e
inimitabile
un urlo collettivo in sala segna un finale inaspettato che ci farà riflettere per molto tempo
Elisa Bollazzi
n.d.r. potete leggere la recensione scritta in occasione della presentazione del film al festival di Cannes cliccando QUI
Artista e scrittrice si diletta a trasformare in un flusso di parole la sua vita itinerante da una galleria a un museo da una sala cinematografica a un teatro da un incontro con l’autore a una biennale.
Inizia a scrivere a sei anni sotto l’amorevole guida dell’adorata maestra Luigia. Dapprima le vocali: 40 a 40 e 40 i 40 o 40 u in seguito le consonanti, 40 per ognuna e quindi tutte in fila. Di lì a poco vocali e consonanti abbracciate in mille modi all’apparenza indecifrabili: ab ac al am an ao ar as at au av az Ba bo bu Ca cc ci cr cu Da du Aa dd nn pp ss vv zz, inspiegabili suoni che d’un tratto trovano un senso e come d’incanto si trasformano in parole e pensieri. Elisa sa guardare, ascoltare, pensare e ora anche scrivere: il gioco é fatto!
Dal 1990 si dedica con devozione al suo Museo Microcollection