Miles Ahead: una sera con Miles Davis

Miles Dewey Davis III noto come Miles Davis è considerato uno dei più grandi musicisti del XX° secolo. Trombettista, compositore geniale, sperimentatore e precursore di mode e tendenze, era altrettanto noto per il suo carattere ribelle, le relazioni turbolente e per le sue dipendenze.

Miles Ahead è il titolo di un album, datato 1957, che balzò agli onori della cronaca per i fiati arrangiati da Gil Evans e diede inizio ad un fortunato sodalizio. Da oggi Miles Ahead è anche il titolo di un lungometraggio, quello presentato in anteprima europea a Berlino qualche giorno fa, alla presenza del co-sceneggiatore, regista e primo attore, Don Cheadle.

Don Cheadle in MILES AHEAD – Photo: Brian Douglas © Sony Pictures Classics

Cheedle sceglie il periodo buio, in cui il jazzista viveva recluso nella sua casa nella Upper West Side di New York City in compagnia della cocaina. Era la fine degli anni ’70 e, nonostante le pressioni della casa discografica e dei pochi amici rimasti, l’uomo era l’ombra del famoso performer che tutti adoravano. Pare volesse tornare sulle scene, ma aveva perso la rotta e in molti lo credevano senza speranze, sino al giorno in cui alla sua porta si presentò un giornalista di Rolling Stone magazine, Dave Brill. In poche, folli, ore i due sconosciuti si ritrovarono a inseguire le ultime registrazioni di Miles, che tutti volevano sentire (e rubare), a sparare colpi di pistola, a farsi e disfarsi insieme. Nel mentre, la mente di Miles era stretta nella morsa delle allucinazioni legate al suo primo amore, Frances Taylor.

Con un sottofondo di ottime note, seguiamo Miles/ Don Cheedle e Dave/ Ewan McGregor in questo girone infernale che in più di un’occasione ci fa sorridere. Il taglio scelto, il momento e il modo in cui è raccontato, sorprendono positivamente l’audience che ringrazia con applausi a scena aperta. La compagnia è ottima e il tempo vola.

Miles Ahead non focalizza, infatti, sul vortice di perdizione in cui era caduto il geniale musicista, non ci bombarda con immagini tanto pittoresche quanto accusatorie, e non cerca neppure di giustificarlo ancorandosi alle discriminazioni razziali che l’uomo aveva subito. Lo rende reale grazie ai flashback di un amore perduto, e lo rende attraente grazie alla corsa contro il tempo per recuperare le bobine perdute. Nessun lineare (e noioso) biopic quindi, nessun film in cui la musica prende il sopravvento per coprire i buchi di una sceneggiatura-colabrodo e soprattutto nessuna morale. Qui tutto è molto equilibrato, ritmato, colorato e sorprendentemente la durata riesce ad essere inferiore alle due ore (e solo per questo il regista merita un applauso).

Ad onor del vero, un attore con maggior carisma e situazioni cariche di “flash” e “bang” avrebbero potuto rendere l’esperienza in sala pirotecnica ma questo è pur sempre un debutto in regia ed è ottimo, il che ci fa presagire per Don Cheadle un futuro pieno di soddisfazioni dietro la macchina da presa.

Vissia Menza

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