Recensione del film GENIUS con Colin Firth

Ci sono autori che ad udire il loro nome vengo sovrastata dai ricordi dei loro capolavori. Con Ernst Hemingway sento le onde del mare e l’odore d’aria salmastra; con Francis Scott Fitzgerald vedo pavimenti di marmo, gente che indossa abiti sontuosi e tiene con grazia calici ricolmi di champagne mentre è nel pieno di una festa anni ‘20; con Thomas Wolfe invece mi si palesa uno schermo nero. Che vergogna. Sino al giorno in cui, in Berlinale, ogni film proiettato è tratto da un libro, una pièce teatrale o una biografia, allora scopro una storia tanto triste quando bellissima, quella di uno scrittore e dell’uomo che fece la sua fortuna: quella di Thomas Wolfe e di Max Perkins, protagonisti di Genius.

Colin Firth e Jude Law in Genius – Photo: Marc Brenner © Pinewood Films

Thomas Wolfe era un genio. Il suo editore, Max Perkins, era in modo diverso altrettanto geniale, anzi, ai limiti della chiaroveggenza: aveva l’abilità di individuare scritti con un potenziale e di trasformarli, grazie ad una minuziosa opera di editing, in best-seller. Forse, quindi, il vero genio era proprio il gentile, preciso, fine cultore della parola, che credette senza riserve nell’eclettico e decisamente prolisso scrittore del nord Carolina che un giorno entrò nella sua vita.

Siamo a New York City, in un’epoca difficile come gli anni ‘20 e negli uffici della Scribner’s Sons arriva un manoscritto impegnativo: mille pagine, troppe, che nessuno vuole leggere e tantomeno pubblicare nonostante l’autore, uno sconosciuto, abbia talento da vendere e sia il protetto di Miss Adaline Bernstein. Max Perkins rimane colpito e decide di dare una chance al ragazzo. In lui vede un potenziale infinito, si imbarca quindi in una minuziosa rivisitazione del suo romanzo. Il risultato è un successo da cui nasce un secondo trionfo. Per Wolfe è impossibile non scrivere, per Perkins è impossibile non trasformare ogni sua opera in un libro che conquisti il cuore dei lettori.

Colin Firth e Jude Law in Genius – Photo: Marc Brenner © Pinewood Films

Il legame tra i due uomini, tra le due menti brillanti, tra due persone uniche nel loro genere, che avevano in comune l’amore per la scrittura, è portato sullo schermo, in maniera sincera ed aggraziata, da Michael Grandage, classe 1962, regista e produttore teatrale il quale, basandosi sulla biografia Max Perkins: Editor of Genius di A. Scott Berg, e avvalendosi di un fuoriclasse come Colin Firth riesce a riportare in vita i due uomini. Il suo film avvince, incuriosisce ed ha un cast all stars, in cui però a brillare è soprattutto Firth, come sempre perfetto. Al suo fianco c’è Jude Law, che quasi ci fa tenerezza per l’impegno e la dedizione che mette nel dare vita al suo personaggio. È istrionico quanto basta ed è rumoroso e sgangherato, come sa ben fare e come probabilmente era Wolfe, eppure abbiamo la costante sensazione che manchi qualcosa. E non migliorano le cose quando entra in scena Nicole Kidman, oramai di una rigidità senza speranze che ci fa sentire sollevati ogni volta che si eclissa dietro una porta.

Nell’insieme, comunque, la pellicola ha una trama intrigante, trabocca umanità ed ha una fotografia perfetta. A Berlino non credo vincerà, al botteghino invece potrebbe avere la meglio.

Vissia Menza

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