Recensione film Death in Sarajevo di Danis Tanović

 

In un hotel di Sarajevo sta per approdare un abbondante numero di ospiti internazionali. L’albergo vive di luce riflessa di un passato lussuoso. Oggi, invece, è alle prese con i conti da pagare, la corruzione e lo staff pronto allo sciopero pur di sfruttare i riflettori puntati in occasione della commemorazione dei 100 anni dall’uccisione dell’erede al trono di Austria-Ungheria Franz Ferdinand, che avvenne per mano di Gavrilo Princip, un giovane rivoluzionario bosniaco di origine serba.

All’interno dell’edificio c’è fermento. Da un lato la polizia ha aumentato la sicurezza per la presenza di un diplomatico, dall’altro il direttore deve evitare con ogni mezzo che il personale incroci le braccia. Nel mentre, sul tetto, la televisione locale sta girando un servizio che ripercorre la storia: dall’uccisione dell’arciduca, usata come pretesto per lo scoppio del primo conflitto mondiale, al sanguinoso passato recente.

La scena si sposta continuamente dal cielo azzurro, al buio cuore pulsante della struttura (il sottosuolo), in questo avanti/indietro che alterna (poco) chiaro e (molto) scuro, seguiamo una manciata di persone che, con lo sguarde e pochi taglienti dialoghi, riesce a scattare una lucida fotografia di cosa significhi essere bosniaco oggi.

Aleksandar Seksan, Izudin Bajrović in Death in Sarajevo © © Margo Cinema & SCCA/pro.ba

Death in Sarajevo, il lungometraggio in concorso a Berlino diretto da Danis Tanović (il regista premio Oscar® per No Man’s Land), è l’adattamento della pièce teatrale Hotel Europe (di Bernard-Henri Levy), un monologo che qui rimane intatto (per coloro che avranno occasione di vedere il film, è la parte dell’ospite francese) attorno al quale si fa gravitare una serie di eventi nuovi, in grado di arricchire la trama di preziosi tasselli. In alcuni casi si respira leggerezza (le battute che fanno ridere il pubblico, non mancano) in altri casi l’aria si taglia col coltello. Vedremo di tutto: vecchie ideologie inculcate in nuove generazioni, che dimostrano quanto l’essere umano non sia incline al cambiamento; la generalizzata stupidità degli uomini e la loro inclinazione alla violenza; il potere della corruzione e dei corrotti; i deboli che per l’ennesima volta sono perseguitati dalla sfortuna; e pure compagni gelosi e innamorati senza speranza.

Neil film di Tanović tante sono le situazioni plausibili, ma assurde, rappresentate con mirabile attenzione, senza far mai scivolare il racconto nella commedia o nel dramma straziante. Il suo è intrattenimento intelligente, ben confezionato, con un invidiabile ritmo, che conquista lo spettatore perché non mira a turbare, non esagera, e piacerà a coloro che amano i drammi, detestano gli sprechi di lacrime, e apprezzano intrecci ancorati al reale con un pizzico di sarcasmo e/o grottesco.

Vissia Menza

 

 

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