Recensione del film L’Avenir di Mia Hansen-Love

Isabelle Huppert e Roman Kolinka in L’Avenir
Photo: courtesy of Berlinale

Mia Hansen-Love è al quinto lungometraggio e di strada ne ha fatta molta. Nata sotto una buona stella, fattasi notare con un cortometraggio a Cannes, dopo aver superato la prova di critica e pubblico di Locarno con Un Amour de Jeunesse, approda oggi nella sezione più prestigiosa della Berlinale, il concorso internazionale con L’Avenir (Things to come). Storia di una insegnate di filosofia sposata, con due figli adulti, che un giorno deve reinventare sé stessa. La famiglia viene stravolta da una serie di eventi inattesi e, a quel punto, la vita e la libertà avranno un nuovo colore, sapore e odore. La donna supererà ogni prova con determinazione, autodisciplina e coraggio senza rinunciare alla sua umana fragilità. A differenza nostra, prenderà sempre la decisione migliore. È una vincente e un po’ la ammiriamo.

Nei panni della protagonista c’è una splendida Isabelle Huppert. La forza, la dignità e le uscite della sua Nathalie sembrano cosi reali da sentirle un po’ anche nostre, perché quella che scorre sullo schermo è una storia nota, che vediamo ogni giorno, che è ovunque intorno a noi. Le sue battute sono quelle dell’amica del cuore, di nostra madre o di altro nostro caro. Quella persona apparentemente sul punto di crollare ci colpisce e ci attrae. Il film è tutto su di lei ma pare non avvertirne il peso, anzi, ha un incedere delicato e per nulla terrorizzato. Ci piace. Ci incuriosisce.

Isabelle Huppert in L’Avenir – Photo: courtesy of Berlinale

Mia Hansen-Love mostra una maturità inattesa. Il suo film ha un intreccio attento e dialoghi che non risparmiano sottile sarcasmo e battute di spirito. È un’opera dolce, che non cerca di colpire allo stomaco il pubblico e alla fine della proiezione stampa è premiata con un convinto appaluso. La scelta della prima attrice è perfetta, la luce è elegante, le inquadrature comunicano sicurezza, i discorsi fanno sul serio. Ma proprio alcune conversazioni sono il motivo per cui nutro ancora qualche dubbio: ci sono passaggi che rischiano di trasformarsi in sterili scambi, che non provocano emozioni e sembrano solo tesi a dimostrare l’ottima cultura e la conoscenza del loro autore. Cosa che viene percepita dall’inconscio di chi guarda e lo fa allontanare. Non riusciamo a sentirci del tutto dall’altra parte, al fianco di Nathalie, e questo ci rende il racconto più leggero ma ci fa avvertire qualche minuto in eccesso.

L’Avenir è un quieto dramma carico di speranze in grado di conquistare i giurati. Di sicuro, la Huppert darà del filo da torcere alle altre interpreti femminili nella corsa all’Orso e potrebbe avere la meglio.

Vissia Menza

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