Tolander, 2lander, Twolander. Chiamatelo come preferite, il super modello più famoso delle passerelle è finalmente tornato. Il suo nome è Derek Zoolander, mitico guru e supremo interprete di espressioni entrate verosimilmente nell’immaginario collettivo e nella cultura di massa. Blue Steel, Magnum, Ferrari, Le Tigre, quattro mimiche tanto complicate quanto… uguali. Ma una soltanto ha il grande potere di fermare le terribili offensive di Jacob Mugatu (Will Ferrell), il supercriminale della moda che, recluso da oltre un decennio in un carcere di massima sicurezza, compare sulla scena per compiere il suo diabolico piano: rapire l’eletto di Steve, il primo modello creato insieme ad Adamo ed Eva, nel cui sangue scorre l’essenza dell’eterna giovinezza. Il destino vuole che, il prescelto in questione sia il figlio di Derek (Cyrus Arnold), abbandonato dal padre anni prima per ritirarsi ad una vita da ‘granchio eremita’ in luoghi freddi e sperduti alla ricerca di sé stesso (Who am i?); sorte condivisa anche dal collega Hansel McDonald (Owen Wilson) che combatte con il suo rifiuto di diventare genitore. Sarà la conturbante agente speciale Valentina Valencia (Penelope Cruz) a intuire il progetto di Mugatu e della regina della moda Alexanya Atos (Kristen Wiig) e a convincere i due ex divi non più “in attività” a raggiungerla a Roma per salvare Derek Jr.
Sin dall’incipit musicale e dal conciso flashback che funge da chiosa per raccontare gli ultimi 15 anni vissuti dai protagonisti dopo il primo film, la sensazione di assistere ad uno spy comedy intriso di elementi supereroistici, background auto-referenziali e materia fantasy si fa sempre più palpabile, fino a quando l’excursus narrativo non trascina Derek al centro di un’avventura analoga, per sviluppi e dinamiche situazionali, a quella ‘memorabile’ del 2001. Dopo aver ospitato recentemente grandi produzioni internazionali come Operazione Uncle e Spectre, è ancora una volta la capitale italiana a fare da sfondo al sequel di Zoolander in cui lo spazio scenico e architettonico giova un ruolo fondamentale. La città eterna è il nucleo principale attorno al quale si sviluppa la storia che, come spesso accade per le pellicole che seguono il concetto di serialità o di affiliazione ad un franchise, riprende lo schema del suo predecessore nel tentativo di emularlo e ricalcare il mito di un’opera che ha portato alla ribalta, in tono parodistico, un universo all’epoca ‘incontaminato’ come quello della moda maschile.
All’inizio del terzo millennio quando Ben Stiller portò Zoolander debuttò nelle sale, l’accoglienza di pubblico non fu particolarmente positiva e lo spettro di un clamoroso flop al botteghino si trasformò presto in realtà. Ciò accadde in virtù del fatto che il film anticipava, con stile ironico ed eclettico, il modo di esorcizzare l’immagine dell’uomo vanesio e iper-egocentrico, abituato a calcare con disinvoltura i palcoscenici delle sfilate ed esposto con minor frequenza alla gogna mediatica rispetto al genere femminile. Fascino, portamento e trasgressione vennero talmente protratti all’eccesso da diventare un’esposizione dell’assurdo su cui basare le sorti di un lungometraggio denso di stereotipi, luoghi comuni e umane convinzioni.
L’idea era quella di delineare un prototipo di modello dalla bellezza ‘assurda’ con un quoziente intellettivo non propriamente elevato e farlo interagire con i suoi simili per mettere a nudo il suo carattere, le debolezze, le manie di protagonismo. Un’operazione, col senno di poi, riuscita alla perfezione che entrò nelle grazie degli spettatori non nell’immediato ma dopo qualche anno, diventando un cult intramontabile della commedia contemporanea a stelle e strisce. Ed ora, dopo 15 anni, l’iconoclastia stilleriana ha cavalcato l’onda del suo stesso successo fotografando attentamente il contesto sociale di appartenenza: è lo spaccato quotidiano dominato da internet e i social a dominare ad essere fotografato attentamente da Ben Stiller per riportare alla ribalta il suo alter-ego più celebre e, probabilmente, più eroico.
Derek è l’antitesi del supereroe, combattuto e tormentato da dilemmi interiori, che ha il potere di magnetizzare gli oggetti con il proprio sguardo si presenta ancora una volta al cospetto dei fan per sfoggiare l’epica Magnum e ristabilire la pace, o meglio il ‘Relax’, nel sistema.
Rappresentante insieme agli amici Owen Wilson e Will Ferrell della congrega dei Frat Pack, Stiller ha riproposto in Zoolander 2 il suo personaggio in chiave più matura, svolgendo un brillante lavoro dal punto di vista estetico e registico, grazie anche al contributo di Justin Theroux alla sceneggiatura, abile nel sfruttare i suoni e la fonetica per creare divertenti siparietti verbali tra i protagonisti. Non manca l’inserimento di guest star d’eccezione, da Sting (il corrispettivo di David Bowie nel primo film) a Billy Zane, passando Justin Bieber, Katy Perry, per stilisti del calibro di Valentino, Marc Jacobs, Tommy Hilfiger, e Lady Vogue Anna Wintour, che alimentano la spinta folle ed esilarante di un lungometraggio scandito da un ritmo equilibrato e da una comicità demenziale densa di momenti slapstick e gag ironiche davvero irresistibili. Preservando l’identità del film originale, tra omaggi e richiami al panorama cinematografico (dai cinecomic Marvel, a Star Wars, da Mission Impossible a Rocky Horror Picture Show) e un cast tremendamente strepitoso, Zoolander 2 ha tutte le carte in regola per diventare un cult moderno così come fu per il suo predecessore in passato. Dunque è il caso di dirlo: la Magnum ha colpito ancora, obiettivo centrato. Funambolico.
Andrea Rurali
Recensione pubblicata anche su CineAvatar.it
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Appassionato di Star Wars e cultore della settima arte, conoscitore del western italiano e del cinema tricolore, sempre aggiornato sulle ultime cine-frontiere e produzioni internazionali (con predilezione per l’Oriente), Andrea è il fondatore del portale CineAvatar.it