The Eichmann Show: l’orrore dell’olocausto raccontato in TV

Il 1961 è una di quelle annate che si ricordano più di altre. Il primo uomo nello spazio, Berlino divisa in due dal famigerato muro, la crisi della Baia dei Porci e la morte di Luigi Einaudi (secondo presidente della Repubblica Italiana), sono solo alcuni dei fatti che tutti collegano a quei dodici mesi. L’evento mediatico più incredibile dell’anno fu la trasmissione in televisione di un processo: quello ad Otto Adolf Eichmann, l’SS col grado di Obersturmbannführer, responsabile del traffico di ebrei verso i campi di sterminio. E di questo show parleremo oggi.

Dopo la fine del secondo conflitto mondiale, Eichmann riuscì a sfuggire al processo di Norimberga e, partendo dall’Italia, ad arrivare in Argentina dove, anni dopo, nel 1961, gli agenti del Mossad lo stanarono, prelevarono e portarono nel neo-nato stato di Israele per  processarlo e condannarlo.

Il 27 gennaio è il giorno della Memoria, è la data in cui per convenzione (sancita dalle Nazioni Unite) si commemora la liberazione dei prigionieri dei campi nazisti, in particolare da quello di Auschwitz (che avvenne il 27 gennaio 1945, appunto). In occasione di questa ricorrenza, nei cinema arriva un’opera molto particolare: The Eichmann Show, ossia la storia del primo processo trasmesso in mondovisione.

Photo: courtesy of Lucky Red

Il film nelle sale i prossimi tre giorni, narra quanto avvenne durante quella annata “esplosiva” e mescola immagini di repertorio, che hanno fatto il giro del pianeta, a finzione interpretata da Martin Freeman (Lo Hobbit, Captain America: Civil War) e Anthony La Paglia (Il Cliente, Accordi e Disaccordi), rispettivamente nei panni del produttore Milton Fruchtman e del documentarista Leo Hurwitz. I due uomini che, con nervi saldi, un gran lavoro di squadra e una buona dose di creatività, riuscirono a convincere i giudici a farli filmare e portare, superando non pochi ostacoli, in tutto il mondo le testimonianze dei sopravvissuti all’olocausto.

The Eichman Show è il racconto del dietro le quinte di quei mesi, delle difficoltà pratiche, emotive e morali con cui si scontrava quotidianamente il manipolo di professionisti in cabina di regia dove gli ascolti, minacciati da Gagarin e da Fidel Castro, imponevano scelte che si scontravano con ricordi e traumi personali, con lo sgomento per quanto si sentiva e vedeva in aula, con la frustrazione collettiva. La responsabilità di catturare eventuali reazioni dell’imputato, di mostrare il pubblico e la Corte e, soprattutto, di imprimere nella memoria del vasto audience cosa fosse accaduto pochi lustri prima, era nelle mani dei cameraman e di Hurwitz. Incredibilmente, infatti, fino a quel momento erano tante le persone che non avevano coscienza di cosa fosse realmente successo in Germania e Polonia durante la guerra e in molti non credevano possibile che tanto orrore fosse vero.

Photo: courtesy of Lucky Red

Il regista Paul Andrew Williams (Una canzone per Marion) confeziona un lungometraggio equilibrato, che attinge agli archivi storici quanto basta per non farci dimenticare ciò che è stato e, senza straziarci, mantiene sempre il fuoco su Fruchtman e il suo team. Con una fotografia dal tocco patinato, un taglio accurato (che ad alcuni ha ricordato le grandi produzioni BBC) e senza scivolate sopra le righe, il film ci fa ripercorrere la snervante messa in onda del processo che ha cambiato il concetto di fare televisione e ha dato voce e forza ai sopravvissuti alla follia nazista. E, mai quanto in questo periodo di scontri e furie omicide, è importante ricordare che “i mostri non esistono ma gli esseri umani sono capaci di azioni mostruose”.

The Eichmann Show è nei cinema da oggi al 27 gennaio 2016. Per dettagli e prenotazioni visitate il sito www.ilgiornodellamemoria.it

Vissia Menza

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  • “ Nel 1961, a Gerusalemme, seguii il processo Eichmann come corrispondente del The New Yorker e fu sulle colonne di quel giornale che questo resoconto
    ( scritto nell’estate e nell’autunno del 1962 e terminato nel novembre del medesimo anno, mentre ero ospite del Center for advanced studies della Wesleygan University ) uscì per la prima volta nel febbraio e nel marzo 1963. Esso fu poi pubblicato come libro nel maggio 1963 in forma un po’ più ampia “

    [ Hannah Arendt, La banalità del male. Feltrinelli UE 2001]

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