Difficile intuire prima del tempo quale strada avrebbe intrapreso una pellicola basata sull’ampia bibliografia dello statunitense R.L. Stine, unica mente dietro uno dei franchise di letteratura horror-adolescenziale più longevi e di maggior successo di sempre. Coloro che si erano immaginati la trasposizione di uno degli innumerevoli romanzi della collana Piccoli Brividi o chi aveva ipotizzato la messa in scena di una storia originale dotata di tutti quegli ingredienti che negli anni hanno fatto spopolare le opere dello scrittore di Columbus, hanno avuto modo di trovarsi entrambi dalla parte della ragione. Il film di Rob Letterman (I Fantastici Viaggi di Gulliver) sceglie, infatti, la via dell’omaggio attraverso una storia fresca e divertente ma, allo stesso tempo, facendo uso di un intelligente escamotage narrativo che ha permesso d’introdurre nell’intreccio tutte le più famose creature mostruose, nate dalla penna di Stine ed entrate indiscutibilmente nell’immaginario collettivo di migliaia di adolescenti.
Sommo direttore di questa magica orchestra da brivido è Jack Black, nel ruolo più improbabile, eppure vincente sotto ogni aspetto: quello di R.L. Stine in persona. Con indosso gli iconici occhialoni da vista dal bordo nero, l’attore si fa portavoce di una comicità elegante e mai sopra le righe, giovanile ma mai indirizzata a spettatori di un’unica fascia di età. Come un personaggio che sembra uscito da un libro di Stephen King (e uno spassoso riferimento al Re del Brivido non può mancare di certo), lo Stine del film ha portato in vita i frutti della propria immaginazione, grazie all’utilizzo di una speciale macchina da scrivere, ed è stato costretto a rinchiudere con appositi lucchetti tutti i suoi mostri tra le pagine dei rispettivi tomi. Un’inconsapevole svista del nuovo vicino di casa (Dylan Minnette) ed ecco che, tra le vie di Madison (Delaware), cominciano ad aggirarsi yeti (“Il Mostro delle Nevi a Pasadena”), mantidi religiose giganti (“Gli Orrori di Shock Street”), lupi mannari (“Il Lupo della Palude”) e Slappy, il celebre Pupazzo Parlante, solo per citarne alcuni. Quest’ultimo, in particolare, doppiato nella versione originale dallo stesso Black, si porrà fin da subito come l’antitesi letteraria per eccellenza dello scorbutico autore dal cuore d’oro e, al pari di un figlio problematico sentitosi rinnegato dal proprio ‘genitore’, scatenerà tutta la sua furia distruttrice sugli ignari (e inermi) abitanti della quieta cittadina con l’aiuto di un’inarrestabile orda del terrore.
Niente di quello che viene raccontato in Piccoli Brividi può ritenersi privo di una certa dose di prevedibilità; eppure, tutto risulta coinvolgente e funzionale nel tentativo di riproporre in chiave moderna un’avventura genuinamente ottantiana che strizza l’occhio agli appassionati dei film di genere e non ha problemi a catturare l’attenzione delle nuove generazioni. Merito anche di un ritmo incalzante e di un abbondante utilizzo della migliore animazione in CGI oggi sulla piazza.
Sebbene il film manchi di ricreare quel leggero senso di angoscia costruttiva che accompagnava ogni singola storia di formazione appartenente alla collana originale, puro e lodevole è il desiderio di omaggiare un autore moderno per ragazzi, apprezzato al pari dei suoi colleghi più noti per aver contribuito a educare i giovani lettori attraverso un sano intrattenimento in grado di pizzicare le corde del subconscio. Dulcis in fundo, lo stesso R.L. Stine si è prestato amichevolmente a un simpatico cammeo e i titoli di coda del film coronano perfettamente, e in maniera quasi commovente, il decennale lavoro dell’illustratore Tim Jacobus, autore di tutte le copertine del ciclo di romanzi.
Giulio Burini
Recensione pubblicata anche su CineAvatar.it