Quando il 28enne medico scozzese Arthur Conan Doyle pubblicò nel 1887 UNO STUDIO IN ROSSO, non aveva certo idea che il personaggio a cui aveva dato vita avrebbe avuto un tale travolgente successo, fino a diventare un’autentica icona dell’età vittoriana.
Sherlock Holmes fu protagonista non solo dei suoi 4 romanzi e 56 racconti (gli ultimi pubblicati nel 1927, per non parlare delle centinaia di scritti successivi di altri autori), ma anche del cinema mondiale. Sono oltre 200 i titoli censiti fin dall’epoca del muto: il primo è un cortometraggio inglese che risale addirittura al 1900.
Molti furono gli attori che lo interpretarono: tra gli altri, negli anni ’10 la serie di corti del danese Viggo Larsen e quella francese con Georges Tréville; in un lungometraggio del 1916 il famoso William Gillette, che già aveva adattato molti racconti per le scene teatrali; tra il 1921 e il 1923 Eille Norwood interpretò il ruolo in ben 47 fra corti e mediometraggi. L’americano John Barrymore interpretò il primo lungometraggio su Sherlock Holmes ad alto budget, uno dei maggiori successi del 1922 del produttore Samuel Goldwyn (se siete curiosi di vederlo lo trovate, ormai libero di diritti, qui).
Dopo l’avvento del cinema sonoro, in Europa l’interesse per il tema si affievolì e il numero di produzioni rallentò, per poi arrestarsi del tutto durante la Seconda Guerra mondiale. La fortuna del personaggio si riprese grazie ai 14 film in bianco e nero girati negli Stati Uniti con gli inglesi Basil Rathbone nel ruolo di Sherlock Holmes e Nigel Bruce in quello del dottor John Watson. Purtroppo solo i primi due, prodotti nel 1939 dalla 20th Century Fox, poterono contare su di un budget ragionevole. I successivi dodici, girati dalla Universal fra il ’42 e il ’46, sono da considerarsi dei serie-B, alcuni davvero mediocri, spesso con trame inverosimili che nulla hanno a che fare con gli originali letterari.
Ai due interpreti si deve il cristallizzarsi dell’immagine dei personaggi, da cui è stato inimmaginabile per molti anni prescindere. Dobbiamo inoltre a questi film la battuta “Elementare, mio caro Watson!”, innestata da allora nella cultura popolare, anche se non è mai apparsa in nessuno degli scritti di Doyle.
Dal 1949 iniziarono ad apparire, prima in Gran Bretagna e Usa, poi nel resto del mondo, i primi film e serie per la tv, con risultati anche pregevoli, fra cui i 16 episodi del 1968 con protagonista Peter Cushing. Dobbiamo invece arrivare agli anni ’70 per un ritorno sul grande schermo, quando apparvero molte versioni “apocrife”.
I titoli più notevoli sono VITA PRIVATA DI SHERLOCK HOLMES (1970) di Billy Wilder, affettuosamente umoristico, che gioca sulla supposta omosessualità del detective. Il drammatico LA SOLUZIONE SETTE PER CENTO (1976) di Herbert Ross, dall’omonimo romanzo di Nicholas Meyer, in cui Watson invia con l’inganno Holmes a Vienna per un caso, mentre lo scopo è farlo curare da Sigmund Freud dalla sua nota dipendenza dalla cocaina. Per arrivare allo sfrenatamente parodistico SENZA INDIZIO (1988) in cui Holmes non è mai esistito, è solo un parto della fantasia dello scrittore Watson/Ben Kingley; il quale, messo alle strette, si vede costretto ad assumere un attore poco conosciuto, un debordante Michael Caine, per fargli interpretare Holmes.
Segue qualche onesto titolo, con protagonisti anche importanti come Christopher Plummer e Roger Moore, Jonathan Price e Rupert Everett, ma niente di particolarmente interessante o innovativo fino al 2009 quando, diretto da Guy Ritchie, irrompe sugli schermi in SHERLOCK HOLMES l’incarnazione a dir poco anticonvenzionale di Robert Downey jr, affiancato dal dr. Watson di Jude Law. Lo stesso regista li ha diretti di nuovo nel 2011 nell’altrettanto frenetico ed adrenalinico seguito GIOCO DI OMBRE, entrambi campioni di incassi.
Accanto a questi due divertenti pop-corn movie hanno inizio negli stessi anni due serie tv, entrambe di ambientazione contemporanea: dal 2012 l’americana ELEMENTARY, ad oggi un’ottantina di episodi di 40 minuti, in cui Jonny Lee Miller è un Holmes drogato perso e ormai ingestibile che viene spedito dalla famiglia a New York per disintossicarsi, affidato alle pazienti cure della dottoressa Joan Watson (Lucy Liu), che dopo la riabilitazione diventa sua socia e collaboratrice.
E dal 2010 la britannica SHERLOCK, scritta per BBC dallo sceneggiatore Steven Moffat (noto per le serie JEKYLL e DOCTOR WHO) e dall’attore Mark Gatiss, che ha tenuto per sé la parte di Mycroft Holmes. Benedict Cumberbatch e Martin Freeman sono stati protagonisti fin’ora di 9 episodi di 90 minuti l’uno, centellinati a tre alla volta per la disperazione dei fans più accaniti.
L’adattamento mantiene solo alcuni degli elementi tradizionali, come l’indirizzo al 221B di Baker Street, un Ispettore Lestrade (Rupert Graves) più amichevole e meno stolido dell’originale e la nemesi di Holmes, il perfido Moriarty (un Andrew Scott a dir poco diabolico). E naturalmente il carattere geniale e arrogante, permaloso e introverso di Holmes, un vero “sociopatico ad alto rendimento”, e l’indole generosa e affidabile di Watson.
Che c’entrano allora con l’ambientazione contemporanea questi due tipi della foto in redingote e baffoni? C’entrano, perché il 1° gennaio in Gran Bretagna è andato in onda uno “speciale di Capodanno” della serie, ad introduzione della prossima quarta stagione. L’ABOMINEVOLE SPOSA si svolge per questa volta in epoca vittoriana, in una Londra adeguatamente fredda e nebbiosa, fra cilindri e carrozze a cavalli, con tanto di magioni infestate e nobiluomini con atroci segreti, delitti insoluti e fantasmi vendicativi. E naturalmente un clamoroso colpo di scena nel sotto-finale.
Per vederlo non sarà necessario attendere la messa in onda in tv: come nel resto del mondo sarà infatti proiettato per un paio di giorni anche al cinema. NEXO DIGITAL lo distribuirà SOLO il 12 e 13 gennaio 2016 in 200 cinema di tutta Italia – trovate l’elenco completo qui. La proiezione sarà inoltre corredata da 20 minuti di riprese aggiuntive, con interviste agli attori e una visita al 221B di Baker Street guidata da Steven Moffat in persona.
Veniamo ora alle dolenti note. La prima stagione di SHERLOCK del 2010 ha avuto un successo clamoroso di pubblico e di critica perché era innovativa, aveva trame geniali ed era eccezionalmente ben scritta e interpretata. Già i tre episodi del 2012 non sono allo stesso altissimo livello ma, a parte qualche scivolone, sono decisamente superiori al prodotto medio televisivo (quello mondiale, sul prodotto televisivo italiano preferisco stendere un velo pietoso).
Quanto alla terza stagione del 2014, purtroppo le cose sono andate di male in peggio: sceneggiature a dir poco traballanti, con invenzioni assurde o paradossali, molti buchi nelle trame e troppi momenti di umorismo involontario. Si salva esclusivamente per la grandissima professionalità degli interpreti e per la consueta, impeccabile messa in scena della BBC.
Con questo L’ABOMINEVOLE SPOSA, che fa da preludio alla quarta stagione, siamo messi malissimo: la trama in alcun momenti è così aggrovigliata da risultare incomprensibile, in altri è di un’insopportabile lentezza, ha scene del tutto superflue – almeno 20 tagliabilissimi minuti su 90 totali, davvero troppi – e un capovolgimento finale talmente prevedibile e idiota da tirare le uova nello schermo. Le recensioni straniere che ho letto sono a dir poco entusiastiche, ma all’anteprima a cui ho assistito l’insoddisfazione era generale, in particolare fra gli sherlockiani di vecchia data. Mi auguro che Moffat si metta una mano sulla coscienza e la smetta di giocherellare con la pazienza dei telespettatori.
M.P.
Casalinga per nulla disperata, ne approfitta per guardare, ascoltare, leggere, assaggiare, annusare, immergersi, partecipare, condividere. A volte lunatica, di gusti certo non facili, spesso bizzarri, quando si appassiona a qualcosa non la molla più.