è
buio
in sala
il pubblico tace
e
lo schermo colora di grigio
una scena
dopo
l’altra
la trama si srotola a balzelli tra infinite linee verticali
macchinari
ringhiere
finestre
colonne
grate
di
Le Havre
città portuale francese
mi intrufolo guardinga nella storia alla ricerca dei 38 testimoni suggeriti dal titolo, avanzo cauta, il capo mobile, me li aspetto stipati dietro ogni angolo, ammassati su una terrazza o pigiati su un autobus quando d’un tratto la macchina da presa zooma su inquietanti macchie di sangue schizzate ovunque da cui rimbalza la notizia di una giovane donna massacrata nell’androne di un palazzo durante la notte
il gelo cala sul pubblico attento
la procedura che ne consegue è la stessa di sempre
nella vita e al cinema
polizia
ambulanza
sopralluoghi
interrogatori
ispezioni
sospetti
alibi
quei 38 testimoni che non avrei mai trovato se il regista Lucas Belvaux non mi avesse presa per mano e condotta da loro con tanta premura, sono vicini di casa della vittima, ognuno chiuso in se stesso nel proprio appartamento, nascosti dietro a rigide maschere di freddezza, 38 vite rovinate, un quartiere distrutto, un macigno al posto del cuore
tutti e 38 dichiarano agli investigatori di non essersi accorti di nulla perché immersi in un sonno profondo, ma sappiamo tutti fin dall’inizio che stanno mentendo e la consapevolezza dell’indifferenza si trasforma in rabbia che ci inchioda alle poltrone
immaginiamo quei 38 testimoni codardi nei loro letti caldi, gli occhi serrati, le mani sulle orecchie per impedire alle urla strazianti di raggiungere l’anima mentre stanno lasciando accadere l’accaduto
solo Pierre, compagno di Louise assente giustificata quella notte, appare visibilmente lacerato da sentimenti discordanti, lui c’era e ha sentito tutto, lo sappiamo, è evidente, ce lo ricorda più volte la sua coscienza materializzata in un fantomatico dirimpettaio che lo osserva e lo giudica
Pierre tira le tende per non vederlo e Louise le apre
Louise apre le tende e Pierre le richiude
finché crolla
e
confessa alla polizia
la sua omissione di soccorso
scompigliando le carte in tavola
le nostre menti veloci rimettono tutto in discussione e risistemano i tasselli del mosaico, il tempo è poco e la storia prosegue serrata, ci aggrappiamo tesi ai braccioli, ci stringiamo ai nostri vicini in cerca di calore umano, chi dobbiamo temere di più, l’aggressore ancora libero chissà dove oppure quei 38 testimoni, mi sussurra nell’orecchio la mia vicina di destra, saggia come sempre
la ricostruzione dell’aggressione ci atterrisce, visualizziamo la scena, vediamo la ragazza indifesa nelle mani del suo assassino, bionda e fragile, viviamo il suo sgomento, le sue grida si incollano alle nostre orecchie lasciando tracce indelebili, udiamo il tonfo del suo corpo esanime a terra e infine l’affanno dell’aggressore in fuga
ora sappiamo cosa è realmente accaduto, lo sa Louise, la polizia, la stampa, la città e perfino il pubblico assente
serpeggiamo
sbigottiti
tra
mille
nuove
sensazioni
Pierre vuole essere punito perchè
ha sentito tutto, ma non ha fatto nulla
e
Louise se ne va via per sempre
Elisa Bollazzi
Artista e scrittrice si diletta a trasformare in un flusso di parole la sua vita itinerante da una galleria a un museo da una sala cinematografica a un teatro da un incontro con l’autore a una biennale.
Inizia a scrivere a sei anni sotto l’amorevole guida dell’adorata maestra Luigia. Dapprima le vocali: 40 a 40 e 40 i 40 o 40 u in seguito le consonanti, 40 per ognuna e quindi tutte in fila. Di lì a poco vocali e consonanti abbracciate in mille modi all’apparenza indecifrabili: ab ac al am an ao ar as at au av az Ba bo bu Ca cc ci cr cu Da du Aa dd nn pp ss vv zz, inspiegabili suoni che d’un tratto trovano un senso e come d’incanto si trasformano in parole e pensieri. Elisa sa guardare, ascoltare, pensare e ora anche scrivere: il gioco é fatto!
Dal 1990 si dedica con devozione al suo Museo Microcollection
Leave a Comment