Erano giovani e spregiudicati, audaci e intelligenti, amanti dei soldi e delle auto di lusso, delle belle donne e della bella vita: “Mi cercavano nelle topaie, ma io stavo al Ritz di Montecarlo” (Luciano Lutring).
Sei storie, la prima inizia nel 1945. La guerra stava finendo e a Milano non c’erano solo i partigiani, c’era in giro anche un bel numero di teste calde e ragazzotti senza scrupoli, che approfittavano della situazione e della grande quantità di armi ed esplosivi in circolazione per darsi alle rapine. Fra di loro il 23enne EZIO BARBIERI, famoso per le sue sciarpe di seta. Nato in via Borsieri, nell’allora popolarissimo quartiere Isola, era a capo della famigerata banda dell’Aprilia nera, beffardamente targata 777, il numero di telefono della Polizia. Carriera breve, nel 1946 fu arrestato e condannato a 30 anni. Lui, che aveva annunciato la nascita di suo figlio dicendo “È un amore di bambino: pesa nove chili col mitra!”, fu anche il protagonista, quello stesso anno, della cosiddetta Pasqua Rossa di San Vittore, un tentativo di evasione sfociato nella rivolta dei 3.500 prigionieri in un carcere costruito per 850. Dopo quattro giorni di assedio di Polizia, Carabinieri e addirittura un reparto d’assalto della Folgore (e cinque morti, tre detenuti e due guardie) per chiudere ci volle un colpo di cannone. A fine pena Barbieri si trasferì in Sicilia, dov’è tuttora un rispettato commerciante di vini.
La sua storia è forse la meno conosciuta ma è paradigmatica rispetto a quella degli altri protagonisti. Dopo Barbieri, altri nomi che fanno ancora venire i brividi a chiunque sia nato nel’immediato dopoguerra. C’è LUCIANO DE MARIA, oltre a tutto il resto protagonista il 27 febbraio 1958 della “rapina del secolo”, obiettivo un furgone blindato della Banca Popolare di Milano. Organizzata con millimetrica precisione e compiuta senza sparare un colpo da sette banditi travestiti con anonime tute blu da operaio, la rapina di via Osoppo fruttò 114 milioni in contanti e altri 600 in titoli e assegni, che decisero di nascondere e non toccare per qualche tempo. La tentazione fu troppo forte, cominciarono a spendere e furono scoperti. Ma il grosso del bottino non fu mai recuperato.
LUCIANO LUTRING fu ribattezzato dall’allora capo-cronista del Corriere della Sera Franco di Bella “il solista del mitra”, perché si dice custodisse la sua arma in una custodia da violino. 500 (!) rapine fra Italia e Francia, bottino totale valutato intorno ai 30 miliardi di lire dell’epoca. Il suo colpo più famoso fu l’ultimo, il 15 aprile 1964: in pochi minuti otto italiani e marsigliesi su quattro Alfa Romeo rubarono 350 milioni in brillanti all’oreficeria Colombo di via Montenapoleone. E vennero arrestati uno dopo l’altro – si dice – a causa di un polsino di camicia a forma di Tour Eiffel che uno di loro aveva perso durante la fuga. Dopo pesanti condanne, in carcere Lutring imparò a dipingere e divenne un quotato pittore, al punto che nel 1977 venne graziato dal Presidente Leone per “meriti artistici”.
Diverso lo stile e le motivazioni di PIETRO CAVALLERO. Di famiglia operaia del quartiere popolare torinese “Barriere di Milano”, passò in breve dalle rivendicazioni di giustizia sociale alle rapine. In quattro anni furono ventitre fra Torino e Milano, e Cavallero arrivò a scrivere ai direttori di banca una sorta di circolare con istruzioni su come comportarsi in caso di presa d’ostaggi, la sua tecnica preferita. Fino alla più sanguinosa: il 25 settembre 1967 lui, Adriano Rovoletto, ex partigiano, figlio di operai, e Sante Notarnicola, un passato da sindacalista, assaltarono il Banco di Napoli in largo Zandonai e durante una folle corsa a 130 all’ora per la città uccisero a colpi di mitra 4 innocenti passanti e ne ferirono 20. Pochi mesi dopo il regista Carlo Lizzani trasse da quella terribile storia quello che oggi chiameremmo un instant movie: BANDITI A MILANO, con Gian Maria Volonté nel ruolo di Cavallero, è oggi considerato il capostipite del genere cosiddetto dei “poliziotteschi”.
Dalla destra estrema o addirittura dalle Brigate Nere venivano invece i membri della banda di PAOLO CASAROLI. Bolognese, ex Decima Mas, colto, forte lettore e ammiratore di Nietzsche come di Sartre, fra nichilismo ed esistenzialismo divenne uno dei più noti banditi degli anni ’50. Condannato a trent’anni, in carcere riprese i suoi studi di filosofia, e resta famosa una lettera di biasimo ai limiti della ferocia che scrisse a Benedetto Croce, in merito ad un suo commento ad un trattato di Kant. Nei suoi ultimi anni aprì a Bologna una libreria molto frequentata. Qui una breve intervista a cura del suo concittadino Enzo Biagi.
Curiosa la storia di HORST FANTAZZINI: nacque in Germania nel 1939 da un’operaia tedesca e da un anarchico italiano, rapinatore per finanziare la resistenza e perennemente latitante. Di base a Bologna, dopo un breve periodo da ciclista, dal 1960 in poi compì una lunga serie di rapine, per lo più in banca, in varie nazioni europee. Per i suoi modi non-violenti si guadagnò il soprannome di “rapinatore gentile”. Arrestato nel 1973, fu protagonista di una lunga serie di rocamboleschi tentativi di evasione, accumulando così pene fino al 2019. Ormai 62enne, durante un’uscita in semilibertà decise di compiere un’altra rapina, armato di una pistola giocattolo, da cui si allontanò… in bicicletta. Arrestato per l’ennesima volta, morì pochi giorni dopo, nell’infermeria del carcere di Bologna.
Scritto dal regista Renato De Maria (nessuna parentela con il bandito) insieme a Valentina Strada e Federico Gnesini, ITALIAN GANGSTERS è costruito su di un montaggio di filmati d’epoca provenienti dall’immenso archivio dell’Istituto Luce e da materiale di repertorio della Rai. Ad essi sono inframmezzati brevi monologhi affidati ad ottimi attori teatrali – Francesco Sferrazza Papa/Barbieri, Sergio Romano/Casaroli, Aldo Ottobrino/Cavallero, Paolo Mazzatelli/De Maria, Andrea Di Casa/Fantazzini e Luca Micheletti/Lutring – che raccontano su un estraniante sfondo nero momenti delle loro storie. Il copione contiene soltanto frasi autentiche, pronunciate durante i processi o riportate in interviste ai quotidiani e alle riviste più prestigiose, scritte dalle più importanti penne dell’epoca, come Dino Buzzati, Enzo Biagi, Indro Montanelli e Giorgio Bocca: perché quei banditi erano tutti dei veri “divi”.
A questi si aggiungono frammenti di “poliziotteschi” anni ’70: il regista ha pescato a piene mani dagli archivi della Minerva film e ha inserito, a spiccare coi loro strafottenti colori supersaturi fra i fotogrammi in bianco e nero dei cinegiornali, brani da “Milano Calibro 9″ di Fernando Di Leo ed altri film di Bava e Deodato, e di maestri come Elio Petri (“La classe operaia va in Paradiso”), oltre ai biografici “Svegliati e uccidi” di Carlo Lizzani (su Lutring) e “La banda Casaroli” di Florestano Vancini, con Renato Salvatori, Jean-Claude Brialy e Tomas Milian.
“Volevo dare corpo a una mia passione per il genere crime – dice De Maria – e insieme raccontare la storia di una generazione di ventenni che avevano combattuto la guerra partigiana, che erano cresciuti con le armi, e nell’Italia del ‘45 dovettero scegliere se andare in fabbrica e ritornare nella normalità di una vita qualunque o inseguire il sogno di una ricchezza istantanea, simbolica. E l’occasione è arrivata grazie a Roberto Ciccutto, presidente dell’Istituto Luce. Nelle loro teche ci sono 50mila ore di immagini che raccontano qualcosa di diverso dagli anni del ventennio. La storia di questo Paese forse meno conosciuta. O semplicemente la più dimenticata.”
Presentato con successo all’ultimo Festival di Venezia, ITALIAN GANGSTERS è in anteprima alla Cineteca Italiana Spazio Oberdan di Milano fino al 6 gennaio.
M.P.
Casalinga per nulla disperata, ne approfitta per guardare, ascoltare, leggere, assaggiare, annusare, immergersi, partecipare, condividere. A volte lunatica, di gusti certo non facili, spesso bizzarri, quando si appassiona a qualcosa non la molla più.
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