Un gioco di numeri, un scambio di parole. Figure e elementi che ricorrono e si mescolano insieme per dar vista ad una nuova esperienza visiva, sensoriale e cinematografica. Il ritorno sulla scena di Quentin Tarantino è all’insegna dell’otto: otto come gli odiosi protagonisti del suo impenetrabile western, otto come le pellicole dal lui realizzate. Una cifra emblematica e significativa che, con grande probabilità, è destinata a fermarsi (secondo la stessa ammissione del filmmaker), ma non ad arrestare la fama e la gloria delle sue straordinarie opere nell’olimpo della settima arte.
Cinema e passione, devozione e ossessione, il genio di Knoxville ha costruito la sua carriera partendo da una solida inclinazione e un acuto fanatismo ‘culturale’ per le pellicole di genere che imperversavano durante il trentennio 60-80 nel nostro Paese.
Dal western al poliziottesco, passando per il thrilling (o giallo) e l’horror, con un occhio attento alle numerose commedie sexy prodotte in Italia, il passo verso la concezione di uno stile inedito, fatto di forme espressive, linguaggi versatili, esplorazioni tecniche e commistioni narrative, è stata la chiave vincente che ha condotto alla popolarità l’eclettico Quentin Tarantino, un regista stimato e apprezzato a livello internazionale, tra i più imprevedibili e influenti dell’era contemporanea.
L’approccio fortemente conservatore è basato su una logica tanto semplice quanto complessa: preservare la tradizione e i suoi infiniti percorsi, rivalutandola e rispolverando, attraverso riferimenti e citazioni, quei filoni e cicli leggendari che con il trascorrere degli anni si sono lentamente eclissati in termini produttivi.
Elaborare i principi e le virtù del cinema d’exploitation, osservando le vie creative di quello di genere italiano e della nouvelle vague francese, o ancora di quello progressista orientale e delle avanguardie estreme (splatter e slasher), ha permesso a Tarantino di delineare una propria visione autentica e innovativa capace di mescolare autorialità e intrattenimento in unica soluzione interpretativa. Sceneggiature eccentriche, attori brillanti e storie anticonvenzionali alla base del successo e di film che in breve tempo sono diventati cult indiscussi e opere idolatrate dai cinefili più esigenti. “Una lunga fila di croci” per parafrasare il titolo di un lungometraggio di Sergio Garrone tanto amato dal regista: ecco che il cinema ha accolto una sequela di gioielli d’estetica quali Le Iene, Pulp Fiction, Jackie Brown, Kill Bill vol. 1 e 2, Bastardi Senza Gloria, Django Unchained e infine The Hateful Eight, senza tener conto delle opere corali firmate insieme all’amico e discepolo Robert Rodriguez (Four Rooms, Sin City, Grindhouse) e al primo incompiuto esperimento del 1987 intitolato My Best Friend’s Birthday.
Insignito pochi giorni fa con la prestigiosa stella sulla Walk of Fame, il camminamento delle grandi celebrità hollywoodiane dello spettacolo, Tarantino ha debuttato a Natale (in Italia in arrivo a febbraio 2016) con la sua ottava fatica che, a giudizio della stampa americana e di un folto gruppo di colleghi, si preannuncia un capolavoro di complessità e particolarità sistematiche mai viste sino ad ora.
Lo schema e il tessuto narrativo di The Hateful Eight sembrano mescolare le atmosfere claustrofobiche e innevate de Il Grande Silenzio di Sergio Corbucci e la dimensione ermetica di Prega il Morto e Ammazza il Vivo di Joseph Warren, alias Giuseppe Vari, per dare vita un film che attinge alle consuetudini classiche del filone e ne esalta fieramente lo stile di Tarantino. Il lungometraggio, musicato dal maestro Ennio Morricone, è stato scritto e girato nel glorioso formato Ultra-Panavision 70 mm e vanta la presenza di grandi star del calibro di Kurt Russell, Demian Bichir, Tim Roth, Michael Madsen, Jason Leigh, Emmy Walton Goggins, Bruce Dern, Channing Tatum e del fedelissimo Samuel L. Jackson, un cast davvero formidabile rapportato alle proporzioni di un progetto che ha tutta l’intenzione di lasciare il segno e ricondurre ai fasti di un tempo il genere più prolifico e affascinante della storia del cinema: il western.
A dimostrazione del grande attaccamento e del rigore quasi maniacale, sotto ogni punto di vista, il regista premio Oscar ha voluto fortemente utilizzare il caro e vecchio supporto in pellicola, la stessa materia usata dai demiurghi italici, per donare quell’effetto epico e spettacolare che solo le grandi epopee del passato riuscivano a creare e che ora vivranno di nuovo grazie al magistrale operato di un fervo e animato sostenitore, un artista poliedrico e fenomenale nonché maestro del ‘pulp cinematografico’ il cui nome è Quentin Tarantino.
Andrea Rurali
Articolo anche su CineAvatar.it
Appassionato di Star Wars e cultore della settima arte, conoscitore del western italiano e del cinema tricolore, sempre aggiornato sulle ultime cine-frontiere e produzioni internazionali (con predilezione per l’Oriente), Andrea è il fondatore del portale CineAvatar.it
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