vado al cinema spensierata, non so nulla di questo film, entro, mi accomodo e subito cala
l’oscurità
le prime immagini del corridoio della più prestigiosa scuola di musica di New York sono intonate alle tenebre, le luci soffuse, i grigi intensi, una zoomata su Andrew Neiman, allievo di batteria jazz al primo anno che si sta esercitando con passione
ah la musica
che meraviglia
arte per eccellenza, prodiga di gioia e serenità, rifugio dal quotidiano, mi rincuoro, sarà una serata rilassante tra prove, concerti, allievi e maestri, mentori di generazioni intere, socchiudo gli occhi e rivedo i visi di quei docenti premurosi che hanno segnato la mia vita, una parola gentile, un apprezzamento, una dritta, qualche brutto voto qua e là, a malincuore lo so
che bei ricordi
riporto gli occhi sullo schermo, ho perso qualche passaggio perbacco, ma cosa sta succedendo, il disagio è evidente, l’ansia in ascesa, il ritmo è galoppante, mi guardo intorno e vedo un pubblico atterrito, i due sublimi attori protagonisti, Andrew e il suo professore, Terence Fletcher sono un binomio infiammato, Terence attacca e l’allievo subisce
c’è
una
guerra
in
corso
tra
di
loro
le parole di Fletcher assumono un tono sempre più duro e, ahimè, si trasformano anche in violenza fisica
insulti
parolacce
umiliazioni
schiaffi
è imperdonabile
aiuto, il mio cuore sussulta, le mani tremano, il pubblico si agita, picchietta nervosamente i piedi al ritmo dell’ansia e delle bacchette di Andrew, gli occhi si stropicciano, le bocche si schiudono, il pubblico presente in sala e perfino quello assente si trasformano in un’orchestra intonata, ogni suo componente irrigidito nella poltrona, la schiena protesa in avanti, il capo accucciato tra le spalle per evitare le ondate di violenza che schizzano dallo schermo, i piedi tengono il passo, più forte, sempre più forte, un concerto sullo schermo e un concerto di mani e di piedi in sala, il ritmo è identico, d’un tratto il sudore della fronte si mescola alle gocce di sangue che fuoriescono copiose dalle mani martoriate del povero Andrew
questo è troppo
no
non ci sto
qualcuno afferra il mio braccio destro e mi trattiene, sente che sto per alzarmi in soccorso del povero ragazzino, certo è maggiorenne e libero di farsi massacrare, ma è minorenne dentro, sta cercando la sua strada, indichiamogliela in modo diverso, così non si fa, non voglio assistere a questo delirio, nessuno si ribella, gli altri concertisti sono muti, isolati nel loro disagio, vivono nel terrore, che prendano le parti e si coalizzino in un ammutinamento liberatorio
invece
il nulla
in silenzio
ubbidienti
depressi
chiudo gli occhi in mia difesa sopprimendo molti dei centoquarantasette minuti di proiezione eppure le ingiurie mi raggiungono attraverso i pori
fermi tutti
devo capire
sbarro gli occhi e sforzo ogni decimo in mio possesso alla ricerca del vero protagonista del film, pensavo fosse la musica, ma non lo è, nemmeno il maestro crudele, neppure il povero Andrew, scavo tra il montaggio e la sceneggiatura, invano, finché retrocedo di un passo ampliando così lo sguardo ed eccolo lì il vero protagonista spalmato su tutta la superficie dello schermo
il
SUCCESSO
il
successo
ad
ogni
costo
che tristezza
tutta la vita sulla linea di partenza
in gara
per arrivare
primi
mi ribello e inneggio a una vita da ultimi con i suoi gesti spontanei, gli sguardi benevoli, un incoraggiamento, una parola buona, un sorriso al momento giusto e lascio là sullo schermo gli aspiranti primi a lottare con se stessi una battaglia cruenta, sto per lasciare la sala ma non è da me, confido in una svolta finale, Andrew sta dando il meglio di sé
il talento è finalmente sbocciato
ma era questo l’unico modo per scovarlo
si domanda la solita vocina che mi accompagna
Andrew posa le bacchette
è il momento dell’ovazione, ci aspettiamo applausi prolungati e grida di gioia ma il pubblico è sparito
c’è il buio al suo posto
Elisa Bollazzi
Artista e scrittrice si diletta a trasformare in un flusso di parole la sua vita itinerante da una galleria a un museo da una sala cinematografica a un teatro da un incontro con l’autore a una biennale.
Inizia a scrivere a sei anni sotto l’amorevole guida dell’adorata maestra Luigia. Dapprima le vocali: 40 a 40 e 40 i 40 o 40 u in seguito le consonanti, 40 per ognuna e quindi tutte in fila. Di lì a poco vocali e consonanti abbracciate in mille modi all’apparenza indecifrabili: ab ac al am an ao ar as at au av az Ba bo bu Ca cc ci cr cu Da du Aa dd nn pp ss vv zz, inspiegabili suoni che d’un tratto trovano un senso e come d’incanto si trasformano in parole e pensieri. Elisa sa guardare, ascoltare, pensare e ora anche scrivere: il gioco é fatto!
Dal 1990 si dedica con devozione al suo Museo Microcollection
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