Ennesima Triennale?

di Federica Musto

 

Fabio Mauri, Senza ideologia,1975 © Federica Musto

La Triennale. Ho sempre avuto un rapporto contraddittorio con la Triennale: si occupa per lo più di design e arte iper-contemporanea che spesso non capisco e dunque faccio fatica ad apprezzare. De gustibus, ovviamente. Eppure devo ammettere che ci sono volte in cui riesce ad essere, se non affascinante, almeno divertente, coinvolgente. L’arte è gioco, nasce dal gioco come attività creatrice. Nasce dalla fantasia, dall’immaginazione. Nasce da quella stessa facoltà che permette a un bambino di trasformare la sedia della sala da pranzo in una caverna sicura, o la scopa in uno splendido destriero. Dunque quando una mostra d’arte permette ai visitatori di partecipare al gioco, di viverlo sulla propria pelle, allora devo ammettere che è riuscita a svolgere bene il proprio ruolo. Immedesimazione, coinvolgimento, riflessione. Queste le parole chiave.

Ed è così che va affrontata Ennesima. Una mostra di sette mostre sull’arte italiana: partecipando al gioco. Dare un giudizio e difficile. Sebbene il format tipico della Triennale non sia propriamente il mio genere, Ennesima risulta tutto sommato intrigante. Curiosa, ecco. Curioso innanzitutto l’utilizzo di un’intera sezione (una delle sette mostre) come snodo tra le altre sei sale. Da passaggio, letteralmente. Tema della sezione è il site specific, opere create ad hoc per il luogo cui sono destinate. Quindi passaggi colorati, scalini e pedane dalle tinte improbabili usate come soglia tra uno spazio e quello successivo.

Patrizio di Massimo, Lost in lust, 2014 © Federica Musto

Divertente ma a tratti inquietante, invece, lo spazio dedicato alla performance: il mondo del tableau vivant. L’intento è la combinazione tra pittura, fotografia e teatro per dare vita a opere in bilico tra il tempo sospeso di un’immagine fissa ed il respiro vivo più o meno quieto degli attori coinvolti. Il risultato? Una montagna di cuscini da cui sbuca quasi per sbaglio un piede[1]. Due gemelli[2] terribilmente angoscianti che si fissano, speculari, fuori dal tempo, silenziosi. Ecco, credo sia il silenzio a inquietarmi. Il silenzio innaturale, incomprensibile, quasi inaccettabile in cui sono immersi i personaggi. È straniante. Come se queste persone non fossero realmente persone, ma automi racchiusi in una bolla di sapone che li isola, rendendoli paradossalmente inavvicinabili. Paradossalmente perché di ostacoli reali non ce ne sono. È una mostra senza barriere quella pensata da Vincenzo De Bellis (curatore), in cui i visitatori sono liberi di passeggiare tranquillamente tra le opere. Nessuna transenna, nessun cordone di protezione. Basta un passo per entrare nel quadro. Eppure quella sensazione di lontananza rimane: gli attori sono qui, ma è come se fossero distanti mille miglia, concentrati su un altrove tutto loro, maledettamente soli. Automi senz’anima, macchine. Corpi inermi – carne – alla mercé del consumismo. Uomini non più protagonisti ma meri schermi della storia, delle storie di altri. Non più attori, né spettatori. Banali schermi bianchi su cui proiettare film d’altri tempi[3].

Per fortuna c’è un rimedio a tale senso d’inquietudine. Un’ancora di salvezza. Ti raccoglie dal fondo e ti accompagna nella riemersione. Un movimento a spirale, elegante, raffinato. Sembra emanare una luce propria che ti chiama che ti sussurra di raggiungerla. Riaffiori dal silenzio smorzante, esci dalla bolla. Respiri. E sorridi: in cima vi è una calla[4]. Bianca, delicata, perfetta. Bellezza. Vita. Ossigeno.

Gioco. Il gioco perturbante dell’arte.

Gino de Dominicis, Senza titolo (I gemelli), 1973 © Federica Musto

INFORMAZIONI
Ennesima. Una mostra di sette mostre sull’arte italiana.
in Triennale a Milano
Fino al 6 marzo 2016
www.triennale.org

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[1] Patrizio di Massimo, Lost in lust, 2014.
[2] Gino de Dominicis, Senza titolo (I gemelli), 1973.
[3] Fabio Mauri, Senza ideologia, 1975.
[4] Mario Airò, Calla, 2011.

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