la sala è affollata di spettatori seduti composti a testa bassa in religioso silenzio quasi fossero qui radunati per una veglia di preghiera, chi più chi meno siamo già tutti contaminati dalla trama, si è letto tanto e se ne è sentito parlare ancora di più, gli occhi spenti, i fazzoletti a portata di mano, il dolore attorcigliato alle nostre spalle per inglobarci a sé
sappiamo cosa ci aspetta
la sofferenza preannunciata offusca la sala, finalmente calano le luci, si apre il sipario e lo schermo si colora di un nero funereo su cui scorrono i nomi in caratteri bianchi, silenzio, ecco stiamo per addentrarci nel cuore della questione
tra le tenebre
il dolore ci cola addosso come una lava incandescente da quello schermo prolifico, ci ricopre dentro e fuori, riportando ognuno di noi con la memoria al capezzale di qualcuno, bussando alla porta di quei ricordi indesiderati che se ne stavano tranquilli là dov’erano, riemergono singhiozzanti, sentiamo già il male sulla pelle, in gola, udiamo lo strazio chiamarci a sé, decine di occhi lucidi punteggiano il buio, un cielo stellato, lo schermo è dispensatore di vita vissuta nostro malgrado
fin dalle prime battute entra in scena un ego smisurato a braccetto con il dolore, un pavone gonfio che si avvia lungo i meandri della trama, si avventa su di noi e tra isterismi, ipercontrollo e ansia
ci tramortisce
l’ego spropositato di Margherita, la bella regista protagonista, un ego che le è sempre accanto, incurante di chi le sta intorno e dei punti di vista altrui, il primo pensiero rivolto sempre a se stessa, un ego che durante la malattia terminale della madre vacilla e si cimenta in inconsueti momenti di riflessione, un estremo percorso di comprensione della vita quando, chissà, è troppo tardi, il danno è fatto ormai, i ricordi che lascerà di sé saranno tanto diversi da quelli della sua dolce genitrice
la madre sul letto di morte
e
la figlia al suo capezzale
dolcezza
e
tensione
peccato accorgersi delle esigenze altrui solamente in età avanzata dopo inutili strigliate e critiche severe, spesso immeritate, ad amici e parenti, dipendenti e colleghi impotenti per lunghi anni
insegnateci a considerare gli altri se non ci viene spontaneo, ditecelo per cortesia, l’avete fatto, probabilmente non abbiamo sentito, allora ripetetecelo a voce più alta e rassicuratevi che il messaggio sia giunto a destinazione, facciamo le prove, come in scena, finché tutto scorra in armonia
tre due uno ciak si gira
prova
stop stop
così non va
si ricomincia
ma la vita è altro si sa, ma la vita è altro si sa, ma la vita è altro si sa, ma la vita è altro
all’improvviso
lo schermo ci regala un ballo
sulle note di Charisma
un ballo scatenato e liberatorio tra un ineguagliabile John Turturro e la florida costumista del film accolto a braccia aperte da un pubblico in debito di spensieratezza, l’arte vero sostegno della vita, per sempre
una rosa nel deserto
un intermezzo
quel ballo è l’unica cura, ci accompagna fino all’uscita e attutisce il nostro dolore
Elisa Bollazzi
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Artista e scrittrice si diletta a trasformare in un flusso di parole la sua vita itinerante da una galleria a un museo da una sala cinematografica a un teatro da un incontro con l’autore a una biennale.
Inizia a scrivere a sei anni sotto l’amorevole guida dell’adorata maestra Luigia. Dapprima le vocali: 40 a 40 e 40 i 40 o 40 u in seguito le consonanti, 40 per ognuna e quindi tutte in fila. Di lì a poco vocali e consonanti abbracciate in mille modi all’apparenza indecifrabili: ab ac al am an ao ar as at au av az Ba bo bu Ca cc ci cr cu Da du Aa dd nn pp ss vv zz, inspiegabili suoni che d’un tratto trovano un senso e come d’incanto si trasformano in parole e pensieri. Elisa sa guardare, ascoltare, pensare e ora anche scrivere: il gioco é fatto!
Dal 1990 si dedica con devozione al suo Museo Microcollection
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