Per anni vedi i suoi lavori, cerchi di comprendere come stenda lo script dei suoi film, cerchi di dimenticare come ti abbia devastato la mattinata al Festival de Cannes dello scorso anno. Ti impegni per carpire qualcosa della persona che si cela dietro il personaggio. Lo osservi alle affollate conferenze stampa dei Festival, leggi migliaia di pagine di pressbook, eppure hai sempre quella strana sensazione che ti manchi qualcosa. Poi, una mattina per caso, ricevi un comunicato che annuncia il programma del Festival Lumiere 2015, a quel punto la tua giornata s’illumina. Hai la convinzione sia la volta buona. E, in effetti, così è stato.

Tra gli ospiti illustri, del settimo Festival Lumiere di Lione, c’era anche lui: Nicolas Winding Refn, il regista danese, con un’adolescenza newyorkese alle spalle, che fa confluire la sua creatività in opere dal forte impatto visivo, uditivo, emotivo. Un narratore di storie sofferenti che sono un trionfo di colori vividi, suoni sorprendenti, interpretazioni potenti, impossibili da dimenticare. Il suo è uno stile inconfondibile, inutile negarlo. L’occasione di incontrarlo in una cornice più raccolta delle consuete, circondati da amanti della settima arte (in generale) e del suo lavoro (in particolare), era troppo ghiotta per non deviare un volo Londra-Malpensa su Lione.

Nicolas Winding Refn - Photo: courtesy of Festival Lumière

Il regista danese Nicolas Winding Refn – Photo: courtesy of Festival Lumière

Un pomeriggio gelido sulle rive del Rodano, in un cinema-teatro tra i più vecchi della città, con un pubblico attento e per nulla intimorito dalla portata dell’ospite, grazie alla presentazione di un libro, dal contenuto prezioso e – soprattutto – molto caro al cineasta, ho infine assistito a una masterlass di Nicolas Winding Refn.

Coerentemente con le aspettative, il suo esordio è stato di quelli esplosivi: “non ho scelto io il cinema, è lui che mi ha trovato” e, ancora, “sono un pessimo ballerino, cantante, autore. Sono dislessico, fatico a scrivere e leggere, e sono daltonico ma a tredici anni ho visto The Texas Chain Saw Massacre e da quel momento ho capito che il cinema sarebbe diventato la mia forma artistica, non potevo esprimere la mia creatività in altro modo” e oggi sappiamo, che il suo avvicinarsi alla macchina da presa, non fu lo sfizio di un ragazzino capriccioso, figlio di una fotografa affermata, cresciuto in un appartamento della New York bene. Il ragazzo (di 45 anni) è diventato una icona.

Il cinema è la sua ribellione dai concetti di ben educato, giusto, dal buon gusto e politicamente corretto, che egli trova veramente soffocanti. Le immagini, forti che molto fanno intuire, dicono ma non sempre mostrano tutto quello che potrebbero e c’è un motivo. Potremmo aprire una lunga parentesi in proposito (e non è escluso lo faremo nei prossimi giorni), invece preferiamo proporre un piccolo test: quanti di voi hanno notato che nonostante la violenza dei film di Refn non ci sono scene di sesso? Sapete il motivo? Il regista trova il sesso su grande schermo noioso, crede sia meglio provocare, non dire, lasciare intuire, e soprattutto non degraderà mai le donne, le considera troppo perfette.

È arrivato quindi il momento di fare una digressione sui poteri persuasivi del gentil sesso, che peraltro chiude il cerchio del nostro incontro. Un giorno il cineasta comprò una collezione di poster dal giornalista e biografo Jimmy McDonough e se li fece inviare a Copenaghen. Dove, al momento della consegna, era presente anche la moglie. Trattandosi di migliaia di locandine di pellicole di serie B, molto fetish e violente, la sua consorte gli vietò categoricamente di tenere quella “roba” sulle pareti domestiche. Come darle torto? E lui? Trovò la soluzione: The Act of Seeing, un libro dedicato a quei poster che nessuno aveva mai visto, qualcosa di molto particolare, costoso, artistico e unico, alla Refn diremmo noi. Ecco com’è nato il volume presentato qui a Lione.

Nicolas Winding Refn autografa il suo libro - Photo MaSeDomani

Nicolas Winding Refn autografa il suo libro dopo la masterclass – Photo: MaSeDomani

Il regista era un fiume in piena. Ha raccontato e scherzato. Ha ribadito concetti più o meno noti. Ha risposto alle domande del pubblico ed ha pure fatto un inatteso mea culpa sul comportamento tenuto dopo aver raggiunto l’apice del successo, quando ancora troppo giovane. Si è addentrato nei suoi processi creativi, su come bypassi gli ostacoli provocati da dislessia e daltonismo. Ha accennato alla sua sintonia sul set con l’amico Ryan Gosling e molto, molto, altro. Non si è neppure tirato indietro alla domanda politicamente orientata. Un moderno eroe o forse un essere umano attento, determinato e capace di fare arte senza piegarsi ai compromessi. Probabilmente, continuerà a confezionare opere visivamente inebrianti (e fastidiose per le mie orecchie) ma dopo questo incontro ci piace un po’ di più.

Vissia MENZA