Il film ZULU: dai riflettori di Cannes 2013 all’ombra

Sto pensando di aprire una rubrica dal titolo “Che fine hanno fatto?” dedicata ai film ricolmi di nomi di richiamo, con trame che incontrano il gusto del grande pubblico, presentate in pompa magna e poi, per qualche motivo misterioso, non sono arrivate al cinema e, in alcuni casi, neppure direct-to-video. Concertiamoci su Cannes, una kermesse la cui selezione ufficiale è destinata ad attirare l’attenzione dei media, del popolo di cinefili e dei cine-curiosi. Se ripenso alle ultime edizioni del festival francese, direi che ogni anno ci sia stata almeno un’opera che potremmo definire “missing”.

Approfittando dei momenti di quiete, di tanto in tanto, spolvererò qualche titolo degno di righe di cui ho perso le tracce. E, qualora aveste informazioni fresche di motore di ricerca, i commenti sono a vostra disposizione. Quindi, senza indugio, andiamo subito in Sud Africa.

Il film di chiusura di Cannes 2013 è stato ZULU. Dietro la macchina da presa un regista come Jérôme Salle mentre davanti due attori del calibro di Orlando Bloom e Forest Whitaker. La pellicola si basa sull’omonimo romanzo di Caryl Ferey e narra una di quelle storie che fanno breccia nel cuore del pubblico: un cocktail che unisce nelle giuste dosi suspense, giustizia e umanità. Narra le vicende di due poliziotti nel Sud Africa di oggi, con un passato ancora vivo nella memoria, in cui molti passi avanti sono stati fatti ma il sentiero è ancora lungo. In questo luogo di sofferenza, intima e costante, i due uomini hanno l’ingrato compito di trovare il colpevole dell’omicidio di una giovane studentessa. Come spesso capita in questi casi, un’indagine che pare piccola, dà il via a una serie di eventi che provocheranno una valanga. I protagonisti, nonostante i migliori propositi, dovranno fare i conti con il background del Paese, con i propri trascorsi e con il presente. E il risultato non prevede una vera vittoria.

Una volta che i riflettori saranno puntati sui due agenti, una serie di eventi nefasti si abbatterà su di loro esattamente come accadrebbe nel mondo reale. E questo che, per me, è il punto di forza dell’opera, a suo tempo fu invece il motivo per cui buona parte della critica iniziò a storcere il naso. Troppo lento (in effetti, non è uno “sparatutto” senza senso ma un thriller dalla forte componente drammatica), troppo imperfetto (è lo specchio degli esseri umani, inutile sopravvalutarci) e sarebbe troppo dorato (la luce asseconda meravigliosamente la luminosità tipica dei paesi in cui la sabbia è ovunque, che in certi momenti è accecante). In poche parole, ZULU non è allarmista, è senza super-eroi ed è troppo umano (Urrà).

© Eskwad – Photo: courtesy of FDC

Con un retrogusto politico, senza imporci una noiosa digressione da cattedratici, ZULU tiene bene sulla corda lo spettatore e lo rende partecipe, oltre ogni previsione, nella ricerca del killer. I due detective sono tanto diversi quanto incarnano debolezze senza patria o storia. E le scene sono crude quanto basta per ricordarci che di sangue ogni giorno ne scorre, inutilmente, a fiumi. Gli interessi economici superano il buon senso e qui ci viene ricordato senza mezzi termini, anche se la ripetizione del concetto non parve scuotere gli animi in sala, anzi, alcuni sembrarono infastiditi e tale insofferenza, ai miei occhi, a suo tempo, fece conquistare punti al regista.

La bravura di Salle, infatti, non si ferma qui. È stato accorto soprattutto nella scelta del cast. Sulle capacità di Forest Withaker non avevo dubbi. Orlando Bloom, invece, senza parrucca bionda e maniere angeliche, è riuscito a stupire. Trasandato, volgare, alla deriva ma con ancora l’onestà e i sentimenti intatti, ci piace: è la personificazione, in versione estrema, dei difetti di molti che conosciamo, e sicuramente il merito è (anche) di chi l’ha diretto.

L’ultimo applauso va alla colonna sonora di Alexandre Desplat. Perfetta al punto da aspettaci che, da un momento all’altro, uscisse dall’auto-radio di Epkeen (Bloom) un’audiocassetta col nastro inceppato.

ZULU è una pellicola che non fa rumore, che non infila un paletto nel cuore di chi guarda ma si fa amare: è un teso e amaro dramma che ci piacerebbe rivedere.

Vissia Menza

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