Dalla notte dei tempi, gli esseri umani hanno rincorso l’elisir di lunga vita, cercando di vivere in eterno si sono prodigati per passare alla storia e gli espedienti adottati erano talvolta dolorosi, in alcuni casi fantasiosi, sempre infruttuosi. Gli alchimisti, o presunti tali, erano ovunque. Da Oriente a Occidente tutti inseguivano (e alimentavano) antiche leggende ma, alla fine, tutti soccombevano all’inevitabile.
Oggi, complici i passi da gigante della ricerca medica e dell’evoluzione tecnologica, qualcuno sostiene di esserci riuscito. Il frutto dei suoi studi è una formula in grado di rendere l’anima, con il suo corredo di ricordi ed esperienze, eterna. A proporre l’immortalità, per l’occasione ribattezzata “shedding”, non poteva che essere un’organizzazione segreta che offre i suoi servigi a pochi e selezionatissimi clienti, tutti estremamente facoltosi e tutti disposti a lasciarsi alle spalle fama e potere pur di tirare indietro le lancette dell’orologio. Tra i fortunati c’è anche Damian Hale, un importante ed egocentrico uomo d’affari newyorkese, prossimo alla settantina che, dopo una vita costellata di successi, sta morendo di cancro.
Damian (inizialmente col volto del premio Oscar® Ben Kingsley) è stato sedotto dal misterioso “shedding” e ha deciso di sfidare la sorte: ha appena acquistato un corpo nuovo di zecca, aitante, sulla trentina, in cambio di una spropositata somma di denaro. Ha chiuso con il passato, inscenando una morte plateale a regola d’arte, e ora è pronto a ripartire. L’uomo, però non si aspettava di dover fare i conti con le difficoltà di un involucro (a questo punto con le sembianze di Ryan Reynolds) fresco di laboratorio e — soprattutto — con nuovi e vecchi sensi di colpa. Stritolato da improvvise e violente emicranie, in balia d’immagini distorte e allucinazioni frequenti, intenzionato a prendere di petto la propria coscienza e a risolvere un mistero che s’infittisce di minuto in minuto, il nostro protagonista si troverà ad affrontare una realtà imprevista, a prendersi cura di vecchie ferite e a rispondere una volta per tutte all’annosa domanda: quale cifra sareste disposti a pagare, a chi/cosa potreste rinunciare pur di vivere per sempre?
Questo è il quesito alla base di Self/Less, la nuova pellicola firmata da Tarsem Singh, regista del buon The Cell, del bizzarro The Fall, del terribile Biancaneve (con una Julia Roberts davvero fuori forma). Sfruttando l’espediente fantascientifico, per giustificare ricerche e pratiche mediche impensabili, improbabili, che accarezzano l’idea di una possibile scissione tra anima, ricordi e corpo, il film prende in prestito un po’ di suspense dai thriller e un pizzico di adrenalina dagli action nel vano tentativo di farsi amare, ma si addentra in un territorio troppo minato perché riesca a uscirne incolume.
L’opera, infatti, è un bel po’ fanta-siosa. Ha una trama che profuma di Vanilla Sky; trabocca buoni sentimenti, come nella migliore tradizione dei prodotti americani adatti a tutta la famiglia; ha un protagonista con poteri simili a quelli di Bradley Cooper in Limitless e la pericolosità di Liam Neeson in Taken, anche se la sua confusione mentale vorrebbe eguagliare il caos di Guy Pearce in Memento. Ma Self/Less non è nessuno di quei capolavori e l’unica cosa che riesce a fare è catturare lo spettatore nella sua rete sino a un epilogo con inquadrature da telenovela venezuelana anni ’80, prima di tornare nell’ombra da cui è arrivato.
Se la speranza di un finale esplosivo riesce a mantenere alta l’attenzione, la sceneggiatura scritta da Alex e David Pastor è molto, troppo, prevedibile per ricevere applausi; il dramma irrisolto di un padre assente, ma amorevole (!), è fastidioso; e l’epilogo, è talmente improbabile da azzerare l’eventuale trasporto conservato sin li.
A nulla valgono i minuti iniziali con Ben Kingsley, la versione giovane e confusa di Damian conta su Ryan Reynolds, il quale non riesce ad arrovellarsi abbastanza, a combattere a sufficienza, a fornirci un’immagine credibile che giustifichi le scelte estreme del suo personaggio. Il sospetto è che alla sceneggiatura ondivaga si sia aggiunta una regia non in grado di tirare fuori il meglio da un attore che era riuscito a farci soffrire non poco nel sorprendente (e angosciante) Buried — Sepolto.
Self/Less è un film ritmato, con un cast valido, in grado di ritagliarsi un suo pubblico. Peccato quindi abbia imboccato un sentiero troppo distante dalle persone comuni, e abbia puntato sui concetti di colpa ed espiazione, introducendo argomenti potenzialmente interessanti senza dar loro una collocazione sicura e lo spazio per una esplorazione adeguata.
In conclusione: non è un dramma straziante, non è un thriller ad alta tensione, non è un action sfrenato e non cerca vendetta. È solo un inno a far la cosa giusta in un mondo in cui il denaro compra tutto tranne la felicità.
Vissia Menza
Articolo pubblicato in anteprima su Fantasymagazine.it il 4 settembre 2015
Ennio Flaiano amava ricordare che “Il cinema è l’unica forma d’arte nella quale le opere si muovono e lo spettatore rimane immobile.”, ed è Vissia ad accompagnarci con passione e sensibilità nelle mille sfaccettature di un’arte in movimento. Ma non solo. Una guida tout court, competente e preparata, amante della bellezza, che scrive con il cuore e trasforma le emozioni in parole. Dal cinema alla pittura, con un occhio vigile per il teatro e la letteratura, V. ci costringe, piacevolmente, a correre per ammirare un’ottima pellicola o una mostra imperdibile, uno spettacolo brillante o un buon libro. Lasciarsi trasportare nelle sue recensioni è davvero facile, perdersi una proiezione da lei consigliata dovrebbe essere proibito dal codice penale. Se qualcuno le chiede: ma tu da che parte stai? La sua risposta è una sola: “io sto con Spok, adoro l’Enterprise e sono fan di Star Trek”