QUALCOSA DI BUONO al mondo c’è, ma certo non in questo film

Kate è una bella donna con una vita perfetta: un lavoro creativo e appagante, un marito ricco, bello e innamorato, una splendida casa, tante care amiche. E qui arriva la mazzata: le viene diagnosticata la SLA. Nel giro di un paio d’anni perde completamente l’autonomia, è stabilmente su di una sedia a rotelle, non riesce a vestirsi, a mangiare, ad andare in bagno da sola. Con qualche piccolo aiuto il marito Evan si è sempre occupato amorosamente di lei ma ora non ce la fa più, le condizioni di Kate sono sempre più impegnative e lui ha trascurato troppo il suo lavoro. Le care amiche naturalmente se la sono data a gambe da tempo con mille scuse e non resta che assumere una badante a tempo pieno.

Fra le tante, serie professioniste che si presentano alla selezione nessuna sembra andare bene, resistono tutte per non più di una settimana. Finché su una chat dell’università Kate conosce Bec, una studentessa aspirante cantante rock alquanto promiscua (ha un ragazzo e va a letto con un professore che la ritiene una graziosa idiota), sboccata, bevitrice, fumatrice di sigarette e altro, che come unico punto favorevole in curriculum ha l’essersi occupata anni prima della nonna invalida. Siccome gli opposti (almeno nei film) si attraggono, la borghese, elegante “miss perfettina” Kate e la proletaria, stracciona e incasinata Bec vanno subito d’accordo: soprattutto quando c’è da coalizzarsi contro il povero Evan, che dopo 3 anni di astinenza ha osato fare sesso una sola volta con una collega. Immediatamente sgamato delle due, è sbattuto fuori casa, per essere poi riaccolto alla fine con la coda fra le gambe, quando le cose vanno davvero male e le interferenze della madre di Kate, che finalmente si è degnata di venire a dare una mano, rischiano di creare nuovi problemi.

George C. Wolfe è un noto ed esperto regista teatrale (ha vinto anche un Tony per la trionfale messa in scena a Broadway nel 1983 di ANGELS IN AMERICA), ma il cinema non deve essere nelle sue corde. Già non aveva brillato nel precedente COME UN URAGANO (2008). Richard Gere e Diane Lane erano due cinquantenni soli e appassiti, che si trovavano davanti alla famosa “seconda occasione” di cui si parla in 9 film americani su 10, naturalmente durante una terribile uragano: tratto da uno dei peggiori romanzi di Nicholas Sparks, ne uscì un pappone sentimentale inguardabile.

Qui spreca davvero la sua seconda occasione con una storia balorda in partenza. Siccome tutti sanno che la SLA è una malattia incurabile e perciò mortale, si sapeva da subito come sarebbe andato a finire: nessuna possibilità di un lieto fine. Tutti gli sforzi di sceneggiatura e regia sono perciò convogliati nel tentativo miseramente non riuscito di tenere alto il morale alle spettatrici dal cuore tenero armate di scatoloni di keenex (nel mio caso di tenermi sveglia).

Vengono perciò inseriti ignobili siparietti pseudocomici, come l’imbranata Bec che usa il frullatore senza coperchio, o fa cadere Kate la prima volta che deve metterla sul wc (entrambe le scene sono nel trailer). Ci sono alcune buone idee, che però non vengono approfondite: ad esempio non si conosce la ragione della totale mancanza di autostima di Bec, che l’ha portata a tanti atteggiamenti autodistruttivi; o il perché Kate abbia smesso anni prima (vi si accenna più volte) di suonare il suo bellissimo pianoforte grancoda. L’unico tentativo di realismo è nelle scene con protagonista una simpatica e positiva donna di colore, anche lei malata di SLA e in condizioni peggiori di Kate – che naturalmente muore, ma le fanno un gran bel funerale. Solo verso la fine si accenna all’eutanasia (ma senza pronunciarne il nome, per carità, qualcuno si potrebbe innervosire). Quella che è un tragedia quotidiana per tante famiglie in tutto il mondo è insomma ridotta ad una sorta di “come ti educo la selvaggia” a base di lezioni di bon-ton e prestito di scarpe di Jimmy Chou, mentre dall’altro lato la sussiegosa Kate, abbandonate le sciccose happy-hour, si piega ad un’allegra tavolata per il Giorno del Ringraziamento con tanti nuovi amici.

Quanto al cast non c’è molto da dire: Hilary Swank (Kate) all’ennesimo ruolo di eroina tragica comincia a stancare e Emmy Rossum (Bec) rifà pari pari il suo ruolo nella serie tv SHAMELESS: si danno la battuta con buon ritmo, ma dell’infimo livello delle battute già si è detto. Josh Duhamel (Evan) è decorativo quanto basta, Loretta Devine (l’amica malata) e Ernie Hudson (suo marito) brillano per mestiere e insieme naturalezza, mentre Marcia Gay Hayden (la madre di Kate) sembra passata di lì per caso.

Per il mercato italiano è l’ennesimo fondo di magazzino distribuito a fine estate, in attesa di tempi e titoli migliori.

M.P.

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