Il Festival è finito. I premi sono stati assegnati. Siamo stanchi ma felici. I Pardi di quest’anno hanno incontrato le mie speranze (qui l’articolo), la recensione del Pardo d’Oro RIGHT NOW, WRONG THEN e i commenti agli altri premiati – TIKKUN, COSMOS, DER STAAT GEGEN FRITZ BAUER e LA BELLE SAISON – sono online già da qualche giorno (un click sui titoli per leggere i post), manca solo un commento, quello a HAPPY HOUR, il film più lungo che ironicamente è stato uno dei più semplici da seguire talmente era scorrevole, interessante e ritmato, davvero sublime. Non possiamo quindi che applaudire alla giuria di quest’anno e pubblicare la nostra recensione.

Le protagoniste di HAPPY HOUR © Festival del film Locarno

Photo: courtesy of Festival del film Locarno

HAPPY HOUR narra la storia di Jun, Akari, Sakurako e Fumi, quattro amiche che si conoscono da sempre e si confidano e supportano in ogni occasione. Sono diverse tra loro ma sono tutte, anche la più riservata, forti e determinate. Inizialmente si presentano come le tipiche donne del nuovo millennio: indipendenti e felici, sposate e soddisfatte. Poi, con lo scorrere delle ore, iniziamo a conoscerle, entriamo nelle loro case, nella loro quotidianità, e ci rendiamo conto che le cose non sono esattamente così. Si devono scontrare con una realtà fatta d’incomprensioni, amori sfioriti, sogni infranti e molta solitudine.

La loro esistenza è esattamente come la nostra: mariti assenti, amanti scontrosi, figli introversi, suocere invadenti, lavori psicologicamente sfiancati, gelosie, bugie scontri e incontri. L’insoddisfazione è sempre in agguato, le ferite si ripetono e la voglia di scappare è sempre latente. Le protagoniste sono talmente simili a noi da farci venir voglia di diventare le loro nuove amiche. La condivisione delle emozioni è immediata.

Photo: courtesy of Festival del film Locarno

Photo: courtesy of Festival del film Locarno

L’opera di Hamaguchi Ryûsuke racconta la vita, mostra le sue mille sfaccettature e i suoi linguaggi, verbali e non, e il risultato è una poesia. Il film è lunghissimo e, soprattutto, impossibile da dividere in capitoli, episodi o simili tali. È inutile sostenere il contrario, la storia è una ed è talmente ricca e profonda da non poter essere ridotta più di così. La lunghezza ci serve per metabolizzare gli eventi, per sentirci vicini ai protagonisti, per capire e condividere.

HAPPY HOUR non è una soap-opera né uno sceneggiato a puntate, quindi non si taglia. Non è neppure uno straziante melò trasformabile con qualche taglio in un dramma più breve e pesante. È un racconto vibrante e intenso proprio grazie al suo quieto incedere. È la vita che scorre e, ahinoi, non è sempre meravigliosa e adrenalinica.

Photo: courtesy of Festival del film Locarno

Photo: courtesy of Festival del film Locarno

Questa pellicola è stata una vera sorpresa: le immagini sono delicate, soprattutto nei momenti più difficili, ma non ci risparmiano nessuna ferita. La fotografia, la musica e i colori s’impegnano a rendere meno grevi situazioni che paiono senza tempo e spazio. Non c’è abuso della tecnologia, non ci sono stagioni, tutto è sospeso e candido. È meraviglioso.

HAPPY HOUR è semplice da seguire, appassionante ed emozionante. La speranza è che trovi un suo spazio nelle sale.

Vissia Menza