Sono le 3.00 del 4 agosto 1972, la notte sta trascorrendo tranquilla nella piana di San Dorligo della Valle, dove contro il cielo ancora scuro si stagliano i grandi serbatoi della Raffineria “Aquila”, un complesso che comprende 24 cisterne che contengono complessivamente oltre un milione e mezzo di liquido oleoso ai bordi del grande golfo di Trieste. Lì attraccano le navi cisterne che portano il gasolio che dovrà essere trasformato in benzina o immesso del lungo oleodotto che va verso l’Austria e la Baviera.
Alle 3.15 un boato scuote la città, non è molto forte (si saprà più tardi che la sistemazione dell’esplosivo non è stata fatta a “regola d’arte”) ma il bagliore viene notato e più di qualcuno dopo una decina di minuti telefona ai Vigili del Fuoco per spiegare che laggiù, in direzione sud est della città, c’è del bagliore, “forse una sterpaglia in fiamme”. Appena il tempo di iniziare a prendere posto a bordo di un’autobotte e altre esplosioni si succedono: i boati sono seguiti da lunghe e possenti fiamme che portano verso il cielo cumuli di fumo nero e bianco che raggiungerà fino i 4.000 metri di quota. Alle 3.25 infatti salta il serbatoio n. 11 (69.000 mc di petrolio), alle 3.30 è la volta del serbatoio n. 54 anch’esso con la stessa quantità ed un minuto più tardi il serbatoio n. 21 con soli 1.534 mc di combustibile conclude il ciclo. Il primo serbatoio che non è saltato, il n. 44 contiene 31.531 mc di liquido infiammabile, è il più vicino alla città, a poche decine di metri dagli altri impianti da quella che è definita “zona industriale” con gli Uffici della Dogana e la Caserma della Guardia di Finanza. Il pericolo è altissimo perché i tre serbatoi in fiamme potrebbero dare inizio ad un tragico susseguirsi di altri incendi, contaminando il cielo del capoluogo giuliano e causando danni e vittime. I Vigili del Fuoco, prontamente accorsi con tutti i messi a disposizione, non possono fare altro (ma è già tanto e molto pericoloso) che lasciare bruciare il petrolio e cercare di contenere e proteggere gli altri serbatoi, mentre si mette in atto l’Oil Alarm Plan che prevedeva il pompaggio di tutto il greggio contenuto nei serbatoi non attaccati dalle fiamme verso la Baviera.
Nel sopralluogo immediatamente successivo vengono trovate quattro aperture che consentono di dare conferma della prima ipotesi di sabotaggio, suggerendo la presenza di quattro gruppi di attentatori. Dopo indagini anche internazionali verranno individuati e condannati – in contumacia – a 22 anni per atto di terrorismo, ma al processo di Appello la pena verrà ridotta perché da terrorismo si passerà all’accusa di “incendio doloso” e a questo punto dobbiamo dare atto all’autore di “IL GRANDE FUOCO – 4 agosto 1972: l’attentato all’oleodotto di Trieste” (Giuliano Sadar, caposervizio alla sede RAI del Friuli Venezia Giulia, autore di una memorabile biografia del Paron Nereo Rocco) del grande lavoro svolto nel rievocare un attentato che per varie ragioni, prima fra tutte forse anche la mancanza fortunatamente di vittime, toglie un velo – più che un velo una pesante coperta – su una vicenda italiana di quei lontani anni che videro pesantemente coinvolti i cosiddetti “servizi”, personaggi anche importanti, organizzazioni come “Settembre Nero”, “Al Fatah” e tante altre di ogni Paese basandosi su documenti dell’epoca (la bibliografia al riguardo è imponente).
Solitamente quando un libro è interessante, il recensore se la cava con un “letto tutto di un fiato”; non è questo il caso del libro di Sadar che abbisogna di una lettura attenta e senza fretta, per avere un quadro di una pagina importante della nostra, e non solo nostra, Storia.
Carlo d’Agostino
Giornalista aeronautico, Carlo d’Agostino ha all’attivo diverse pubblicazioni di carattere aeromodellistico e storico-aviatorio fra le quali ricordiamo “SM-79. Il gobbo maledetto”, “SISA. La prima compagnia aerea commerciale italiana” e “C’era una volta un campo di volo. Storia dell’aeroporto di Gorizia”
SCHEDA LIBRO
Autore: Giuliano Sadar
Titolo: Il grande fuoco
Editore: MGS Press (8 aprile 2015)
Pagine: 240
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Dici Alfonso e pensi alla sua amata Triestina, alla sua biblioteca (rigorosamente ordinata per case editrici) che cresce a vista d’occhio, alla Moleskine rossa sempre in mano e alla adorata Nikon con la quale cattura scorci di quotidianità, possibilmente tenendo il corpo macchina in bizzarre posizioni, che vengono premiati ma non pensiate di venirlo a sapere. Se non vi risponde al telefono probabilmente ha avuto uno dei tanti imprevisti che riuscirà a tramutare in un esilarante racconto di “Viva la sfiga!”. Perché lui ha ironia da vendere ed un vocabolario che va controcorrente in questo mondo dominato dagli sms e dagli acronimi indecifrabili. Decisamente il più polivalente di tutti noi dato che è… il nostro (e non solo) Blogger senior che con il suo alfonso76.com ha fatto entrare la blog-o-sfera nella nostra quotidianità.
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