Gli orfanotrofi britannici hanno da sempre fornito all’esercito i suoi uomini migliori. Lo dice M a Bond, con una certa amarezza, in “Casino Royale”.
Sembra un destino segnato quello di Gary Hook: cresciuto col fratello minore in un orfanotrofio del Derbyshire, arrivato ai 18 anni non ha altra scelta che arruolarsi. Il suo plotone si aspetta di partire per la Germania (nel 1971 eravamo in piena Guerra Fredda) quando arriva l’ordine “A seguito dell’aggravamento della situazione a Belfast, il reggimento verrà dislocato lì”.
Le reclute sono un po’ preoccupate ma, a causa della strettissima censura a cui sono soggetti sull’argomento i media inglesi, nessuno di loro ha davvero idea di quello che li aspetta. Un sergente li accoglie in caserma con un “Resterete qui finché un Irlandese non vi avrà sparato”. Eppure il primo giorno il giovane ufficiale comandante, inesperto quanto loro, li fa uscire in perlustrazione senza elmetti né scudi: “Siamo qui per proteggere la popolazione, non per spaventarla”.
Pessima decisione: in quella che sembra una zona di guerra – ci sono segni di fortificazioni, e auto incendiate a fare da barricata per le strade, e donne che sbattono i coperchi dei secchi della spazzatura per segnalare l’arrivo dei “nemici” – i militari vengono colpiti da un’intensa sassaiola da parte di alcuni ragazzini; poi intervengono gli adulti. Parte l’ordine di ritirata, ma Gary e un commilitone, rimasti isolati, vendono disarmati e subiscono un violento pestaggio. Una donna cerca di intromettersi facendo loro da scudo, ma un uomo armato spara in testa al soldato a terra. Nel fuggifuggi generale Gary riesce a scappare in un labirinto di vicoli; ruba un maglione per coprire la divisa e si nasconde, terrorizzato, in attesa di capire che fare. Solo, ferito, in territorio nemico, è armato soltanto di una primordiale volontà di sopravvivere. Bloccato in un incubo, vivrà la notte più lunga della sua vita.
Nel 1947 Carol Reed (il regista de IL TERZO UOMO) diresse FUGGIASCO (Odd Man Out), in cui James Mason era un nazionalista irlandese, solo e ferito, che nella notte di Belfast cercava di sfuggire alla polizia. All’inizio del film una didascalia recitava: “Questa storia si svolge su uno sfondo di instabilità politica in una città dell’Irlanda del Nord. Non riguarda la lotta tra la legge e un’organizzazione illegale, ma il conflitto nei cuori delle persone che vi si trovano coinvolte.”
A situazione ribaltata, lo spirito di ’71 è esattamente lo stesso. Assistiamo a spettacolari scene di inseguimento a piedi (niente di così buono dai tempi di POINT BREAK). Seguiamo incontri e scontri notturni fra rappresentanti delle diverse fazioni: da una parte i Nazionalisti cattolici, membri dell’ala moderata dell’IRA e i Provisionals (o Provos, i radicali), dall’altra gli Orangisti (i Lealisti protestanti) e gli infiltrati del MRF (i servizi segreti dell’esercito britannico).
Tutti sono alla ricerca del soldato disperso: per restituirlo ai suoi, i Nazionalisti in un atto di umanità e buona volontà, gli Orangisti per farsi belli con l’esercito. I Provos vogliono ucciderlo per odio e vendetta, gli uomini del MFR per creare un utile martire. Per trovarlo molti sono disposti anche a tradire amici e ad intessere inedite alleanze. C’è una scena nodale. Gary viene raccolto, stremato, da un medico nazionalista che lo scambia per un civile e se lo porta a casa per curarlo. Quando scopre che è un soldato “nemico” gli rivela di essere stato medico militare. “Ricchi coglioni che dicono a stupidi coglioni di uccidere poveri coglioni. Questo è l’esercito.” Una morale tragica e universale, applicabile a qualsiasi guerra.
Il soldato Gary Hook è interpretato dal 24enne Jack O’Connell, premiatissimo protagonista di STARRED UP (2013) e del recente UNBROKEN di Angelina Jolie. Ci regala un personaggio sfaccettato: prestante e virile quanto tenero nell’addio al fratellino, indistruttibile alle torture quanto capace di piangere nella notte scura; perché in fondo Gary ha solo 18 anni.
Il regista Yann Demange è al debutto nel lungometraggio, ma dimostra di conoscere bene il mestiere, nella direzione degli attori – meticolosamente selezionati per accento del luogo d’origine – come nelle decisioni tecniche. Fa l’insolita scelta di filmare le scene diurne in pellicola 16 millimetri, leggermente seppiate in modo da farle somigliare a cinegiornali d’epoca, e le scene notturne in un impeccabile digitale in tutti i toni dal giallo al marrone al nero, perfettamente fuse insieme dalle capaci mani del direttore della fotografia Tat Radcliffe. Eccellente il montaggio di Chris Wyatt, davvero notevole, come detto, nelle convulse scene di inseguimento. Tutti e tre provengono da lunga esperienza televisiva, ma dimostrano di essere perfettamente all’altezza di più impegnative produzioni cinematografiche.
M.P.
Casalinga per nulla disperata, ne approfitta per guardare, ascoltare, leggere, assaggiare, annusare, immergersi, partecipare, condividere. A volte lunatica, di gusti certo non facili, spesso bizzarri, quando si appassiona a qualcosa non la molla più.