“There are stories that are too true to be told”
Ci sono storie troppo vere perché siano raccontate. Ci sono verità troppo sconvolgenti, che la popolazione non sarà mai pronta a scoprire. Ci sono persone che hanno sacrificato tutto in nome di oscure verità che agli occhi di molti sarebbe stato meglio non emergessero.
C’era un’epoca in cui i giornali erano floridi, in cui fare i reporter era una vocazione e forse una condanna, in cui le redazioni erano ricolme di segugi a caccia di notizie che attendevano solo di essere svelate al pubblico. Poi arrivò l’era digitale e le cose pian piano cambiarono.
Gary Webb lavorava al San José Mercury, era un marito e un padre amorevole, era un uomo imperfetto, come molti di noi, ma era un gran professionista. Amava il suo lavoro ed era convinto che la gente avesse il diritto di sapere, sempre e comunque. Era un giornalista stimato e affermato. E aveva già vinto il premio Pulizer, il giorno in cui, per caso, suo malgrado, si trovò per le mani un fascicolo che avrebbe segnato la sua vita per sempre.
Correva il 1997 quando la moglie di un trafficante di droga lo avvicinò e lo usò per riavere indietro il marito, in prigione da anni. Le carte che la donna diede a Webb lo portarono in poco tempo in Nicaragua, a contatto con insospettabili pedine di un gioco pericoloso e sicuramente più grande di lui, che coinvolgeva le alte sfere di Washington, le Agenzie governative, i narcos e soprattutto i contras. Il giorno in cui vennero pubblicati i suoi articoli, la notizia fece scalpore e fece tremare molte, troppe, persone.
Tutto questo lo sappiamo noi, oggi. Il povero Webb rimase invece travolto da una redazione non adusa a scoop di portata nazionale; dall’invidia delle grandi testate, che mal digerirono di essersi fatti sfuggire l’inchiesta della decade; dalle mille mosse di uomini con il potere di insabbiare e mescolare le carte. Il giornalista perse tutto e Michael Cuesta oggi gli rende omaggio, dà alla sua esperienza quella eco che avrebbe dovuto avere a suo tempo e che, forse, gli avrebbe salvato la carriera e non solo.
Domani arriva nei cinema LA REGOLA DEL GIOCO (in inglese, KILL THE MESSENGER), un film basato su una storia vera che assurdamente passò inosservata, non solo alla nostra latitudine ma soprattutto in Patria. I fatti portati sullo schermo dal regista newyorchese sono il racconto di un dramma che non deve essere dimenticato e, senza rinunciare alla voglia di ottenere il consenso dell’audience, sono un inchino a uomo che ha creduto sino alla fine nella verità, nel suo mestiere, nella giustizia.
Nei panni di Webb c’è Jeremy Renner, un attore che a ogni nuova interpretazione riesce a stupirci e portarsi a casa la nostra riconoscenza per essere stato tanto bravo. Sarà un istinto o sarà la sua esperienza in teatro, fatto sta che nei panni del reporter di fine anni ’90 Renner è talmente convincente da trascinare al suo fianco un’intera platea di giornalisti che, palesemente, stavano immedesimandosi e soffrendo con il suo personaggio.
A completare il quadro, a rendere tutto veritiero, c’è un cast di classe, un’ottima crew e Cuesta dietro la macchina da presa che opta per inquadrature schiacciate, spesso a 360°, cosa che induce lo spettatore a sentirsi a disagio, ad avvertire la preoccupazione di Webb, a respirare con lui, a temere per la sua incolumità.
Man mano che i minuti scorrono, la suspense non molla e tutto diviene sempre più claustrofobico, carico d’incertezza, e innesca un’incredibile fame di verità nelle persone in sala che iniziano a sperare che l’epilogo sia ancora lontano.
Esatto, il punto di forza di quest’opera non è la trama. L’intrigo internazionale in cui i potenti di turno credono che il fine giustifichi i mezzi, e il bene del Paese permetta il sacrificio di alcuni, non è cosa nuova né sui quotidiani né al cinema. Sono lo stile narrativo, le inquadrature, i dialoghi e le performance a dare potenza alla storia e rendere tanto dolorosa la disfatta dell’onestà, dell’etica, della professionalità.
LA REGOLA DEL GIOCO è il classico film ben fatto: è un dramma equilibrato ed un thriller mai esagerato, che saggiamente evita scivoloni splatter in nome del boxoffice. Una gran bella sorpresa d’inizio estate.
Vissia Menza
Ennio Flaiano amava ricordare che “Il cinema è l’unica forma d’arte nella quale le opere si muovono e lo spettatore rimane immobile.”, ed è Vissia ad accompagnarci con passione e sensibilità nelle mille sfaccettature di un’arte in movimento. Ma non solo. Una guida tout court, competente e preparata, amante della bellezza, che scrive con il cuore e trasforma le emozioni in parole. Dal cinema alla pittura, con un occhio vigile per il teatro e la letteratura, V. ci costringe, piacevolmente, a correre per ammirare un’ottima pellicola o una mostra imperdibile, uno spettacolo brillante o un buon libro. Lasciarsi trasportare nelle sue recensioni è davvero facile, perdersi una proiezione da lei consigliata dovrebbe essere proibito dal codice penale. Se qualcuno le chiede: ma tu da che parte stai? La sua risposta è una sola: “io sto con Spok, adoro l’Enterprise e sono fan di Star Trek”
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