Intervista ad Adele Marini

Questa settimana abbiamo intervistato Adele Marini, autrice di a “Milano si muore così” e di “Io non ci sto” che ci ha accolti nella sua casa con gentilezza e sobrietà degna di una grande giornalista, scrittrice e donna.

Grazie mille per aver accettato di scambiare quattro chiacchiere con noi. Da milanese trapiantato e ormai integrato non posso che ringraziarti per la splendida coreografia che scegli per ambientare i tuoi noir

L’ambientazione milanese non è una scelta, ma un bisogno necessario. Le mie storie (per adesso chiamiamole così) prendono spunto da fatti reali, da episodi esistenti che possono essere rinvenuti tra le carte del tribunale e della procura. Il mio dictat è la verosomiglianza. E poi a Milano ci sono i soldi e dove ci sono i soldi si radicano le organizzazioni criminali

Perché allora non utilizzare riscontri storici e nomi reali?

Perché in Italia lo scrittore deve stare attento anche alle virgole. Una querela può bloccare il libro e il tuo lavoro per mesi.

Era meglio fare il giornalista allora?

Lo scrittore è l’alter ego del giornalista frustrato (ndr ride), la sua rivalsa: con i libri puoi scrivere più liberamente e puoi correre in quel sottile filo tra verità e finzione. Il giornalista deve vivere di sola realtà e tutto quello che dice deve poterlo confermare.

Lo sai bene tu.

Ho seguito fatti importanti di cronaca e mi sono occupata di alcuni fra i più famosi sequestri che tormentavano l’Italia. 

Nei tuoi libri c’è più realtà o più finzione?

I miei libri sono non fiction novel che significa dire e non dire. C’è però un enorme lavoro dietro per reperire i documenti e per assemblarli. La realtà delinea la storia del libro.

Ma poi le storie seguono anche i personaggi…

Io cerco sempre di dare elementi che identifichino il mio libro come romanzo verità. Se poi il lettore prosegue nell’analisi del testo, si trova in possesso di elementi per approfondire gli argomenti e i fatti storici, grazie agli spunti presenti nel romanzo. Credo sia fondamentale, in quest’epoca dove l’oblio è un diritto sancito dalla legge anche a chi è stato condannato in via definitiva, tenere viva la memoria storica e la vigilanza democratica.

I tuoi libri sono lo strumento giusto?

Lo scrittore, almeno come lo intendo io, deve vivere in bilico tra realtà e finzione, ma deve essere un tramite per scoprire cosa c’è nel mondo.

Ti chiederei di introdurre i tuoi due libri per allettare chi ancora non li abbia letti.

Questi libri parlano di Milano e di chi ha il potere di far “muovere” le cose. Il primo riguarda la mafia più conosciuta: la ‘ndrangheta, l’altro il malaffare dei servizi di Intelligence. In mezzo c’è il commissario Marino che a volte viene trasportato dagli eventi e a volte è lui a indirizzarli.

Per il resto lo schema è abbastanza consolidato: cerco un’idea, che per l’ultimo: “Io non ci sto” è stata il riciclaggio di denaro, sviluppo una trama, inserisco episodi cosiddetti puntello e poi cerco di creare collegamenti che possano rendere il tutto più veritiero, più verosimile appunto.

In effetti i protagonisti principali spesso e volentieri risultano i fatti e non le persone.

È proprio questo il mio intento, il libro deve darti la possibilità di pensare e per fare ciò ha bisogno di una storia e di protagonisti, ma alla fine il mio lavoro si concentra sui fatti storici. La mia ricerca è lunghissima e attenta.

Ti sei ispirata a qualcuno per i tuoi personaggi?

Per la costruzione dei personaggi mi ispiro alle persone che incontro e spesso faccio una commistione dei vari caratteri al fine di renderli vivi, credibili. Un personaggio appartenente alla realtà, inserito senza alcuna modifica nei romanzi, però esiste davvero: è il mio merlo indiano Edoardo che è qui con me (me lo mostra ma non ce ne era bisogno: è tutto il pomeriggio che fischia e parla).

Per vendere libri è necessario l’happy ending?

Il mio lettore deve essere consapevole che il libro avrà un epilogo, ma non potrà aspettarsi la soluzione definitiva perché la storia narrata perderebbe ogni credibilità. Nella vita reale le cose non si concludono mai come nei libri.

Per concludere, è nostra tradizione approfittare dei consigli letterari degli autori che intervistiamo. Ti chiederei di indicarmi tre libri che consiglieresti di leggere.

Il primo è “Un conto aperto con la morte” di Bruno Morchio che a mio modesto parere è uno tra i migliori narratori dei nostri tempi, mi piace il suo stile semplice e diretto. Ce ne sono mille che mi vengono in mente ma per rimanere attuale posso consigliare “Solo il tempo di morire” di Paolo Roversi e “La banda degli amanti” di Massimo Carlotto.

Ultimissima domanda, forse quella che interessa chi si è appassionato al commissario Marino: nuovi libri in progetto?

Il nuovo libro è in cantiere ma è solo all’inizio. Non posso parlare dello spunto che ha fatto partire la storia, cioè dell’argomento che dà il via a tutta la trama: con quello che è successo e che sta succedendo in Italia e a Milano non dovrebbe essere difficile però immaginare verso cosa mi orienterò.

D.A.


Leave a Comment