Dice: “Non hai mai recensito Borges”
Dico: “Come fai a recensire Borges?”
No, davvero, come fai a scrivere qualcosa di intelligente su Borges, o che non sia già stato detto?
Non resta che affidarsi al ricordo personale, con una premessa: nel celebre file dei 1001 libri da leggere a ogni costo, viene proposto “Labirinti” di Borges. Non cercatene una versione italiana: si tratta della traduzione del titolo dato in Francia alla prima raccolta di racconti dell’enorme scrittore argentino pubblicata su suolo europeo, che conteneva quattro racconti editi nel nostro “L’Aleph”: “L’immortale”, “La scrittura del Dio”, “La ricerca di Averroè” e “Storia del guerriero e e della prigioniera”. Ecco, è a quest’ultimo che devo un ricordo adolescenziale.
Perché c’è una cosa che va detta di Borges: la sua scrittura certamente non semplice, evocativa, infinitamente colta ed erudita spinge a volerne sapere di più. Leggi e ti rendi conto che ti stanno sfuggendo dei riferimenti – in Borgtes sono innumerevoli – e te ne dispiaci profondamente.
A me, “Storia del guerriero e e della prigioniera” era piaciuto tantissimo. Questa storia di un longobardo, nato e cresciuto nell’odierna Germania, che inviato a combattere in Italia “vede il giorno e i cipressi e il marmo. Vede un insieme che è molteplice senza disordine; vede una città, un organismo fatto di statue, di templi, di giardini, di case, di gradini, di vasi, di capitelli, di spazi regolari e aperti” e decide di abbandonare i suoi dei e combattere per Ravenna, oh, mi aveva quasi commosso. E’ che allora non c’era Internet, non potevo permetterti di googlare un nome e… tac… leggerti dodici milioni di risultati. Di conseguenza: viaggio verso la biblioteca comunale, gran ricerca con risultati piuttosto scarsi, un certo desiderio di conoscenza rimasto insoddisfatto.
Anni dopo, quando un modem 14.4k caricava con gran in un aula universitaria l’home page di HotBot (chissà perché, motore di ricerca di gran successo allora), la prima chiave di ricerca che digitai fu “Frecce Tricolori”. La seconda, “Droctulf”, il nome del barbaro che aveva scelto la bellezza e a cui i ravennati dedicarono un epitaffio magnifico, andato purtroppo perduto:
“terribile d’aspetto, ma benigno d’animo e con una lunga barba sul cuore coraggioso./ Poiché amava i pubblici segni di Roma,/ fu sterminatore della sua stessa gente./ Trascurò i suoi cari genitori, mentre amò noi,/ ritenendo che questa fosse, o Ravenna, la sua patria”.
Alfonso d’Agostino
P.S. Ovviamente vale per il nostro giro del mondo letterario, stazione Argentina
Dici Alfonso e pensi alla sua amata Triestina, alla sua biblioteca (rigorosamente ordinata per case editrici) che cresce a vista d’occhio, alla Moleskine rossa sempre in mano e alla adorata Nikon con la quale cattura scorci di quotidianità, possibilmente tenendo il corpo macchina in bizzarre posizioni, che vengono premiati ma non pensiate di venirlo a sapere. Se non vi risponde al telefono probabilmente ha avuto uno dei tanti imprevisti che riuscirà a tramutare in un esilarante racconto di “Viva la sfiga!”. Perché lui ha ironia da vendere ed un vocabolario che va controcorrente in questo mondo dominato dagli sms e dagli acronimi indecifrabili. Decisamente il più polivalente di tutti noi dato che è… il nostro (e non solo) Blogger senior che con il suo alfonso76.com ha fatto entrare la blog-o-sfera nella nostra quotidianità.
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