SEMPLICEMENTE INGRID

© FDC / Lagency / Taste (Paris) / Ingrid Bergman © David Seymour / Estate of David Seymour – Magnum Photos

Quest’anno sul poster del Festival di Cannes c’era il bel viso sorridente di Ingrid Bergman, a cui nel centenario della nascita sono state dedicate una retrospettiva e una mostra.
Nata in Svezia il 29 agosto 1915, è stata una donna forte e intelligente, appassionata e bellissima, attrice amata dai registi, premiata dalla critica e idolatrata dal pubblico.
Accanto ai maggiori attori della sua epoca è stata protagonista di molte pietre miliari della cinematografia mondiale, e quattro suoi film furono presentati in concorso proprio a Cannes.

Ingrid arrivò a Hollywood nel 1939. Il produttore David O. Szelnick l’aveva vista in un piccolo film svedese del 1936 e aveva deciso di farne “la nuova Garbo”. Il remake hollywoodiano del mélo INTERMEZZO – storia d’amore infelice fra una giovane pianista e un maturo violinista sposato (Leslie Howard) – ebbe un tale successo che seguì di lì a poco IL DR. JEKYLL E MR. HIDE di Victor Fleming, accanto a Spencer Tracy. E poi un piccolo film di propaganda di guerra a basso costo, girato in bianco e nero perché nessuno ci credeva più di tanto, nemmeno il suo stesso regista Michael Curtiz: CASABLANCA. E la battuta Play it once again, Sam. Play “As Time Goes By” entrò nella leggenda.

Nel 1943 ricevette la sua prima nomination all’Oscar con PER CHI SUONA LA CAMPANA, dal romanzo di Hemingway ambientato durante la guerra di Spagna, girato accanto a Gary Cooper. Dopo essere stata nel 1944 la tenerissima suora di un orfanotrofio in LE CAMPANE DI SANTA MARIA accanto a Bing Crosby, sua seconda candidatura all’Oscar a meno di trent’anni, la fama di Ingrid era ormai consolidata.
L’Oscar le fu meritatamente assegnato nel 1945 per ANGOSCIA (Gaslight), un thriller di George Cukor che sembra di Alfred Hitchcock. Nei panni dell’ingenua ereditiera sposata all’ambiguo e manipolatore Charles Boyer, salvata prima dalla follia e poi dalla morte dall’amico Joseph Cotten, stregò il pubblico di tutto il mondo. Ingrid si era preparata a lungo e con impegno per il ruolo, frequentando cliniche per malati mentali per carpirne sguardi e atteggiamenti. Una piccola curiosità: durante la lavorazione fu festeggiato sul set il 18° compleanno di Angela Lansbury, che col suo ruolo di domestica insolente si guadagnò al debutto una candidatura all’Oscar come migliore attrice non protagonista.

Nel 1946 Ingrid Bergman fu protagonista di ben due film presentati, pur senza vincere nulla, al Festival di Cannes: oltre ad ANGOSCIA un altro caposaldo del cinema. Si tratta del morboso, scandaloso, censuratissimo NOTORIOUS. Era la storia di Alicia (in Italia Elena, misteri del doppiaggio), figlia di una spia nazista che subito dopo la guerra accettava di collaborare coi Servizi Segreti americani ad incastrare i soci tutt’ora in attività del padre, nel frattempo morto suicida. Innamoratasi, ricambiata, del suo agente di controllo, per salvare la propria copertura di cacciatrice di ricconi decideva ugualmente di sposare uno dei sospetti. E quello che era nato come un film di spionaggio, nelle mani del Maestro Alfred Hitchcock, non ancora sir, si trasformava prima in thriller e infine in mélo. Più della storia, allora di grande attualità; più dei personaggi e dialoghi davvero ben scritti dallo sceneggiatore Ben Hecht, a rimanere scolpita nella mente di generazioni di spettatori è la famosa scena del bacio. Il Codice Hays, nato nel 1934 per salvaguardare le candide animucce degli spettatori americani da scene di sesso e violenza, prevedeva che i baci non potessero durare più di 3 secondi. L’inglese Hitchkock sfidò ogni regola e lo fece durare ben 3 minuti – e vinse: anche grazie a quel bacio fra la svedese Ingrid Bergman e l’inglese Cary Grant NOTORIOUS entrò nella storia del cinema.

C’è una cosa per cui ho sempre ammirato Ingrid: ragionava con la sua testa e non si preoccupava dell’opinione altrui. Ad esempio scelse di interpretare copioni che la appassionavano, a costo di fondare una propria casa di produzione rimettendoci del suo, come avvenne nel 1948 con GIOVANNA D’ARCO, che comunque le procurò la quarta candidatura all’Oscar. Ma l’ambito in cui la sua indipendenza trionfò fu la vita privata. Aveva un marito svedese, un noioso dentista; grazie alla relazione col fotografo Robert Capa si avvicinò al cinema italiano del neorealismo. E fu amore a prima vista, prima per i film, poi per il regista Roberto Rossellini. Per l’opinione pubblica americana fu scandalo: Ingrid Bergman, fino a quel momento considerata una santa, diventò un’adultera da lapidare. Fu “perdonata” dopo il matrimonio e la nascita di tre figli, ma i film pur importantissimi – fra cui STROMBOLI, EUROPA ’51, VIAGGIO IN ITALIA – che girò in quel periodo furono praticamente ignorati dal pubblico fuori dall’Italia. Nel 1958 divorziò da Rossellini e tornò a Hollywood; ma aveva superato la fatidica boa dei 40 anni e, come aveva protestato a gran voce Bette Davis, le occasioni di grandi titoli rischiavano di essere sfumate. E invece no, in poco tempo vennero i clamorosi successi di ANASTASIA, INDISCRETO e LA LOCANDA DELLA SESTA FELICITA’.

Tornando al fil-rouge con cui eravamo partiti, i suoi film presentati a Cannes, troviamo due titoli praticamente sconosciuti al di fuori del ristretto ambito dei cinefili. Del 1961 è LE PIACE BRAHMS? dall’omonimo romanzo di Françoise Sagan. Ingrid interpreta una bella quarantenne fidanzata con un traditore compulsivo (Yves Montand) ma che prende una sbandata, ricambiata, per il figlio 25enne di un’amica (Anthony Perkins). Con grande sconforto del giovane seguirà le convenzioni sposando il fedifrago, che naturalmente dopo il matrimonio non perderà le sue cattive abitudini. Diretto dal veterano Anatole Litvak, tutto il film si regge sulle forti spalle di Ingrid, che con la sua interpretazione asciutta e matura gli impedisce di franare in una storia melensa da casalinghe disperate. Questa volta la Giuria di Cannes fu cortese e premiò… Anthony Perkins come migliore attore.
E’ del 1964 l’ormai dimenticato LA VENDETTA DELLA SIGNORA (The Visit). Tratto dal dramma LA VISITA DELLA VECCHIA SIGNORA di Friedrich Dürrenmatt, racconta di una donna che torna nel paesino natale da cui fu scacciata giovanissima perché incinta. Ora vedova di un miliardario, promette un’enorme ricompensa all’intero paese se verrà giustiziato l’uomo che a suo tempo rifiutò di sposarla. Il film vanta un cast ricchissimo – Anthony Quinn, Irina Demik, Paolo Stoppa, Romolo Valli, Valentina Cortese – ma la regia dell’onesto mestierante Bernhard Wicki non riesce a valorizzarlo in pieno. E dato che viene rispettata l’impostazione teatrale dell’originale viene da chiedersi quanto sarebbe stata grande Ingrid su un palcoscenico, da cui era partita e su cui tornò solo in rarissime occasioni.

Chiudo con una riflessione: non fatevi ingannare dalle locandine coloratissime, tutti i film illustrati erano in bianco e nero, così come molti altri, anzi la maggioranza della sua produzione. E non per mere ragioni di epoca, i primi lungometraggi a colori risalgono al 1930. Ma a lei bastava uno sguardo da sotto le ciglia, o un sorriso a labbra socchiuse, per avere intere platee ai suoi piedi. Aveva un’aura speciale, un’intima, sfolgorante luminosità, capace di rendere il colore superfluo. Era perfetta. Era, semplicemente, Ingrid.

M.P.

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