Antigua e Barbuda: recensione Un posto piccolo di Jamaica Kincaid

Io non so se ci siate mai stati o se stiate progettando di andarci. Quello che so è che Antigua e Barbuda è, semplicemente, una destinazione da sogno.

Ora, io lo so che in queste occasioni si hanno due possibilità: fare le valigie e partire senza nessuna cognizione del luogo in cui ti abbronzerai oppure studiarti un minimo di storia e cultura locale, magari contando di non trascorrere tutte le tue giornate all’interno di un dotatissimo resort.

Se decidete per la seconda strada – lo farei pur’io – mi tocca implorarvi di non leggere “Un piccolo posto”, che potrebbe invece sembrare una prima scelta: il libro di Jamaica Kincaid mostra il volto nascosto di Antigua, e lo fa con la forza di un’invettiva che non può lasciare indifferenti.

Ho sempre invidiato in amici e conoscenti quella capacità di infuriarsi mantenendo la lucidità, una caratteristica che decisamente non mi è propria; a me cala una sorta di nebbia rossa davanti agli occhi, direi ben rappresentata dai fulmini negli sguardi di quale fumetto di Zerocalcare. La Kincaid no: parte con tutta l’intenzione di demolire la storia coloniale dell’isola, la corruzione che è seguita all’indipendenza e, incidentalmente, anche il vostro viaggio, ma lo fa con una sorta di freddissima rabbia che ricorda in qualche misura alcuni passi de “La rabbia e l’orgoglio” di fallaciana memoria.

Sentite qui:

“Forse ricordate di aver sempre pensato che la gente come me non è in grado di amministrare le cose, la gente come me non afferrerà mai il concetto di Prodotto Nazionale Lordo, le gente come me non sarà mai in grado di assumere il comando delle cose che i più sempliciotti tra voi padroneggiano facilmente, la gente come me non saprà mai che cosa significa governare di diritto, la gente come me non conosce veramente il pensiero astratto, la gente come me non può essere obiettiva, prendiamo tutto come un fatto personale. Voi dimenticherete il ruolo che avete svolto nell’organizzazione di tutto questo, che la burocrazia è una nostra invenzione, che il Prodotto Nazionale Lordo è una vostra invenzione, e che tutte le vostre leggi favoriscono misteriosamente soltanto voi. Sapete perché la gente come me è intimidita dal capitalismo? Ebbene, perché da quando vi conosciamo non siamo stati che capitale, qualcosa di simile a balle di cotone e sacchi di zucchero, e voi eravate i crudeli capitalisti al comando, e il ricordo di tutto ciò è così forte, l’esperienza così recente, che non ci riusciamo proprio a fare nostra questa idea che vi pare tanto importante.”

C’è, nella lucidità di una invettiva come questa, una forza e una verità che fanno male. C’è l’indignazione, certo, ma c’è anche una voce che parla di tutti noi, della nostra storia, di quello che ha comportato lo sviluppo della società occidentale nel cosiddetto sud. E ci racconta qualcosa che ferisce nel profondo.

Perché Antigua, nonostante noi, è bellissima.

“Antigua è bella. Antigua è troppo bella. Certe volte la sua bellezza sembra irreale. Certe volte la sua bellezza è simile alla scena di uno spettacolo teatrale, poiché nella realtà nessun tramonto potrebbe essere come questo; nella realtà l’acqua del mare non potrebbe avere tante sfumature di azzurro in una volta sola; nella realtà il cielo non potrebbe avere quella sfumatura di azzurro – un’altra sfumatura di azzurro, completamente diversa dalle sfumature di azzurro del mare – e nessuna nuvola potrebbe essere tanto bianca e veleggiare a quel modo nel cielo azzurro; nella realtà nessun giorno potrebbe essere tanto soleggiato e luminoso, e far sembrare ogni cosa trasparente e leggera; e nella realtà nessuna notte potrebbe essere tanto nera, e far sembrare ogni cosa densa, profonda e senza fine.”

Alfonso d’Agostino

SCHEDA LIBRO
Autore: Jamaica Kincaid
Titolo:Un posto piccolo
Traduzione: F. Cavagnoli
Editore: Adelphi
Collana: Piccola biblioteca Adelphi
Pagine: 84
ISBN: 978-8845915840

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