In Giappone c’è un magnifico bosco tristemente noto per essere prediletto dalle persone che vogliono suicidarsi, l’Aokigahara. Le autorità sono così coscienti del problema da aver addirittura messo dei cartelli bilingue (giapponese/ inglese) lungo il sentiero atti a dissuadere gli avventori dal compire gesti avventati e definitivi che potrebbero traumatizzare i loro cari. Il luogo è verde, fitto, incontaminato, fiabesco o, da un altro punto di vista, ricco di anime erranti che si riescono a sentire se ci si addentra nella parte più interna. Molti sono gli aneddoti, le storie, le favole e –ahinoi- altrettante sono le notizie di cronaca nera.
Questa foresta, un po’ fatata e un po’ ambigua, è la destinazione ultima del viaggio che Arthur Brennan, il protagonista di oggi, di punto in bianco decide di intraprendere. Noi lo incontriamo mentre si sta recando in tutta fretta all’aeroporto e da subito ci rendiamo conto che qualcosa non stia andando per il verso giusto. Come mai sta partendo senza bagaglio? Qualora volesse farla finita, perché andare sino in Giappone? E, soprattutto, cosa gli è capitato di così traumatico da pensare di compiere un gesto simile?
Arthur ha il volto del premio Oscar® Matthew McConaughey. Durante la sua (dis)avventura nipponica, sarà guidato da Takumi Nakamura (interpretato dal candidato premio Oscar® Ken Watanabe), un uomo ferito e sofferente incontrato poco dopo aver varcato l’accesso della foresta. Mentre Athur cercherà aiuto, ripercorrerà la sua vita e noi scopriremo il motivo di una tale decisione.
“The Sea of Trees” è il nuovo lavoro di Gus Van Sant, in concorso a Cannes, che già dopo poche ore ha imboccato il viale del tramonto. Il motivo è che i primi a perdersi nel bosco sembrano essere proprio il regista e il suo sceneggiatore (Chris Sparling). L’idea è buona, nonostante non sia originale. Il cast è stellare (pochi attori ma tutti da premio Oscar®) e allora, cosa non funziona? La narrazione, il posizionamento dei pseudo-colpi di scena, la dimensione forzatamente onirica che arriva a confondere lo spettatore il quale, nella seconda parte si disinteressa e smette di sforzarsi di comprendere ciò che sta capitando sullo schermo.
Come se non bastasse, la consorte del nostro eroe pseudo-disperato è impersonata da Naomi Watts, la quale non è credibile non solo nei panni di moglie frustrata e depressa, ma neppure come alcolizzata e malata. Che si sia dimenticata come recitare oppure è il regista ad aver perso nei meandri della foresta il proprio tocco?
Gus Van Sant, regista, sceneggiatore, artista, autore di perle come “Drugstore Cowboy”, “Belli e dannati” e “Milk”, a questo giro non convince, sembra confidare che un tris di ottimi attori possa da solo reggere un film. Non è così. Non riesce a toccare l’anima di chi è in sala. Se mi chiedessero perché vedere “The Sea of Trees” risponderei che è delicato, nonostante l’argomento non turberà il vostro sonno e la foresta è magnifica.
Vissia Menza
Ennio Flaiano amava ricordare che “Il cinema è l’unica forma d’arte nella quale le opere si muovono e lo spettatore rimane immobile.”, ed è Vissia ad accompagnarci con passione e sensibilità nelle mille sfaccettature di un’arte in movimento. Ma non solo. Una guida tout court, competente e preparata, amante della bellezza, che scrive con il cuore e trasforma le emozioni in parole. Dal cinema alla pittura, con un occhio vigile per il teatro e la letteratura, V. ci costringe, piacevolmente, a correre per ammirare un’ottima pellicola o una mostra imperdibile, uno spettacolo brillante o un buon libro. Lasciarsi trasportare nelle sue recensioni è davvero facile, perdersi una proiezione da lei consigliata dovrebbe essere proibito dal codice penale. Se qualcuno le chiede: ma tu da che parte stai? La sua risposta è una sola: “io sto con Spok, adoro l’Enterprise e sono fan di Star Trek”
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