25° FCAAAL – Corti ma belli

Come ogni anno il Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina ha dato largo spazio ai cortometraggi. Diamo un’occhiata a quattro fra i più significativi.

E’ girato in Guadalupa 4 AVRIL 1968 (24′) di Myriam Gharbi. La mamma di Sabine, 7 anni, lavora da anni in Francia, lei vive in Guadalupa affidata ad una zia. Un giorno la bimba decide di saltare la scuola e si addentra a giocare nella foresta di mangrovie, dove incontra Akim, un giovane straniero che vive in una capanna. Sono gli anni delle proteste delle comunità nere negli Stati Uniti e Sabine si ritrova senza saperlo nel rifugio di due Black Panthers. Ed è con loro quel 4 aprile 1968, quando la radio comunica la notizia dell’assassinio di Martin Luther King.

Ritratto delicato di una bambina ribelle di fronte a ben più grandi ribellioni, ha vinto il Premio MoneyGram per il Migliore Cortometraggio di autore Africano e il premio della Fondazione Ismu (Iniziative e Studi sulla Multietnicità), assegnato da una giuria di insegnanti al miglior cortometraggio del Festival con valore pedagogico.


Si svolge in una tavola calda LAZY SUSAN (10′) di Steven Abbott. Non fa riferimento ad una donna pigra: è il curioso termine che nei paesi anglosassoni definisce il vassoio girevole al centro della tavola, quello che da noi si vede spesso nei ristoranti cinesi. Della cameriera Susan in carne e ossa fino alla fine sentiamo la voce e vediamo il corpo ma non la testa, perché la macchina da presa è appoggiata appunto sul vassoio rotante. Da quell’insolito punto di vista possiamo osservare clienti cortesi o maleducati, musoni o allegramente alticci, una razzista, un marito sottomesso, un dongiovanni impenitente, un direttore petulante. Una piccolo antologia di facce e comportamenti che rappresenta con ironia il Sudafrica di oggi.

Ha vinto il Premio Arnone – Bellavite Pellegrini Foundation, assegnato al miglior film che affronti i temi della globalizzazione, della governance, della legalità e del dialogo interculturale.

Il tunisino PÈRE (18′) di Lotfi Achour racconta di un taxista che accompagna una partoriente in ospedale. Dopo pochi giorni la Polizia lo convoca perché si prenda le sue responsabilità di padre del neonato e lui nega: non aveva mai visto prima quella donna. Sottoposto ad esami medici la sua innocenza viene riconosciuta: non potrebbe essere il padre di nessun bambino, perché i risultati sono chiari, lui è sterile. Al disgraziato cade il mondo addosso: di chi sono allora i suoi due amatissimi figli? E di quel povero innocente senza padre, chi se ne occuperà?

Una intensa riflessione sul concetto stesso di famiglia e paternità che ha vinto il Premio Sunugal, assegnato ad un corto africano da una giuria composta dai membri dell’Associazione dei Senegalesi in Italia.


L’egiziano Yasser Shafiey dirige THE DREAM OF A SCENE (22′)
Un giovane regista alquanto velleitario decide di girare un corto indipendente sulle donne. Superati i problemi economici – auto in prestito, set in appartamenti di amici – resta la difficoltà più grande: trovare un’attrice disposta, senza alcun compenso, a rasarsi i capelli, andando così contro tutti gli standard di bellezza e femminile pudore della società egiziana. I provini si trascinano senza risultato finché finalmente una ragazza accetta; ma poi si tira indietro all’ultimo minuto. Per salvare il film Mariam, l’aiuto regista che fin’ora si era mostrata molto perplessa circa l’intera operazione, si offre di interpretare la parte. E non vuole dire a nessuno perché.

Il film ha vinto il Premio CINIT e il Premio CEM – Mondialità, assegnati ad un cortometraggio africano con valore educativo.

M.P.

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