Recensione Blu quasi trasparente di Ryu Murakami

Attenzione: non è quel Murakami.
Lo riscrivo in grassetto a scanso di ogni equivoco: occhio, non è quel Murakami.
Anzi, guardate, finirò per fare una cosa scorrettissima: mi rendo conto che giocare sulle quasi omonimie è proprio scorretto, e sono anche pronto a sostenere che i paragoni di questo genere siano proprio ingenerosi. Per dire, Cristiano Ronaldo si è rivelato un fuoriclasse assoluto nonostante il peso di portare sulla maglietta un cognome che poteva far andare immediatamente la memoria ad uno che aveva fatto la pubblicità della Pirelli.
Quindi no, davvero non è giusto, ma nel caso vi sia sfuggito, ci tengo a precisare che non è quel Murakami.
Tanto è meravigliosamente onirico, leggiadro, a volte persino narrativa mente ermetico il Murakami di “L’uccello che girava le viti del mondo” e “Kafka sulla spiaggia”, tanto si posiziona su un piano assolutamente antitetico questo Murakami. Mi sono limitato a “Blu quasi trasparente” – inopinatamente inserito nella lista dei 1001 romanzi da leggere prima di schiattare – perché la mia capacità di sopportazione non amava oltre, ma vi sarà probabilmente più noto come regista e sceneggiatore di “Tokio Decadence”, pellicola che qualche anno fa fece scalpore per le scene sadomaso. Ecco, “Blu quasi trasparente”, romanzo di esordio di questo Murakami, ne anticipa contenuti e descrizioni simil-porno che anche l’uomo di larghissime vedute che vi sta scrivendo ha fatto un po’ fatica a portare a termine.
La trama, se di trama si può parlare, ha una sua semplicità. I protagonisti sono immersi in una città giapponese sede di una base militare americana e vivono le loro giornate con tre chiari obiettivi: ascoltare rock ossessivamente, portare sotto le lenzuola qualsiasi essere vivente vi venga in mente e drogarsi come se non ci fosse un domani (ed in effetti, per qualcuno NON ci sarà un domani). Chiarissimo il messaggio di condanna alla decadenza della società nipponica, altrettanto chiaro (credo) il grido di dolore per una generazione del tutto perduta. Unico effetto sul sottoscritto, oltre ad una leggera sensazione di nausea credo non dovuta alla digestione delle colombe pasquali? L’aver sollevato un dubbio.
Mi sono chiesto se l’irragionevolezza  di vite come quelle descritte possa essere evidente a chiunque, e mi son risposto di sì. Poi mi sono domandato se sia possibile, quindi, trovare una risposta ragionevole alla domanda che grida in queste pagine: “datemi una vita che valga la pena di essere vissuta”. È una domanda che dobbiamo farci, tutti quanti. Io me la pongo quotidianamente, ho una risposta e la sto seguendo con (la mia) lentezza ma con perseveranza. Ma il primo, fondamentale punto è farsela, questa cavolo di domanda. E non barare nella risposta.
Saltate questo Murakami è passate alla domanda, quindi. Vi ho fatto risparmiare un po’ di tempo, su!
Alfonso d’Agostino

Leave a Comment