[Recensione film] HUMANDROID di Neill Blomkamp

Neill Blomkamp è un regista sudafricano con solo tre film all’attivo. Il suo esordio su grande schermo avvenne nel 2009 con DISTRICT 9, opera che diventò subito un culto. Tipica fanta-pellicola che celava una storia drammatica, tristemente legata a situazioni reali e tangibili. Va da sé che non mi stupì scoprire che dietro le quinte, in veste di produttore, ci fosse niente meno che Peter Jackson. Mi lasciò, invece, perplessa la reazione del pubblico spesso in fuga a scena aperta.

Forte di una partenza esplosiva e controcorrente, il cineasta nel 2013 ci riprova con un cast all stars. Il risultato è un giocattolone in perfetto stile Hollywoodiano, ELYSIUM, che ancora una volta pone quesititi profondi, mantenendo in primo piano la fantascienza. Ghetti, situazioni borderline, criminali per stato di necessità, non manca nulla, è un lavoro più maturo ma– ironicamente – senza una patina “indipendente”, viene presto dimenticato.

Ora è il turno di HUMANDROID, di cui abbiamo sentito tanto parlare negli ultimi mesi. Il nuovo lavoro di Blomkamp tocca tasti spinosi come l’amicizia tra uomini e macchine, e la possibilità di creare intelligenze artificiali evolute, indipendenti e senzienti. Dato che in regia c’era l’enfant prodige di DISTRICT 9, l’aspettativa forse era troppo alta: critica e pubblico oltre oceano non ne hanno subito il fascino e oggi, che è il nostro momento di conoscere Chappie, temo non andrà meglio.

La pellicola nasce dal cortometraggio TETRA VAAL e narra la storia di Chappie, appunto, un prototipo costruito illegalmente coi rottami di un robot della polizia. L’androide è l’unico esemplare di intelligenza artificiale dotata di libero arbitrio, di sentimenti e di tutto il ventaglio delle umane debolezze che ben conosciamo. Molto presto, purtroppo, finirà nelle mani sbagliate e il suo apprendimento imboccherà una via non prevista, dai molteplici risvolti.

Chappie in un scena del film – Photo: courtesy of Warner Bros.

L’idea è di farci affezionare a questo eroe anomalo e sfortunato, che tanto ci assomiglia, e indurci, ancora una volta, a riflettere su discriminazioni, confini tra lecito e illecito, sull’opportunità di creare macchine che siano ogni giorno più simili a noi, anzi, possibilmente migliori. La realizzazione è così ammiccante da tramutare Chappie nella versione di latta di un cucciolo di Labrador abbandonato a se stesso, e far traboccare la storia di buoni sentimenti, facendo leva sul nostro lato di marzapane.

“Humandroid” è, infatti, poco fanta, molto triste e vorrebbe sfiorare il dramma, ma scivola nella soap. L’unico eroe è l’attore che ha indossato tutine super-aderenti foderate di sensori per rendere umano Chappie, quel Sharlto Copley il cui volto non vedremo in alcuna inquadratura. La vera rivelazione è la coppia Ninja e Yo-Landi Visser, duo rap sudafricano che ha spopolato prima via web poi ai festival musicali internazionali, qui al suo esordio cinematografico. L’energia di Ninja e Yo-Landi è la colonna portante del film, i loro personaggi sono convincenti e le relative performance sono una bella sorpresa. Il resto del cast ha, invece, nomi di grande richiamo ma prestazioni fiacche.

Hugh Jackman in una scena del film – Photo: courtesy of Warner. Bros.

Sigurney Weaver fa poco più di un cameo in panni indossati in molte altre occasioni quindi, probabilmente, ha recitato bendata. Hugh Jackman non convince come cattivo al punto da essere fastidioso. E Dave Patel c’è, ma poteva anche non esserci: è trasparente.

Questo “Humandroid” lascia dubbiosi, fa assopire alcuni e, secondo i nerd, è un minestrone che potrebbe mettere a repentaglio la carriera di Blomkamp. Noi vogliamo essere buoni e diciamo che la sufficienza sia visibile all’orizzonte ma non venga raggiunta.

Mettiamola cosi, la pellicola si congeda dimenticando la porta aperta, quindi, mai disperare, il sequel potrebbe essere migliore di questa (falsa) partenza.

Vissia Menza

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