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Ci sono semplicemente storie che non vanno più raccontate.

La storia dell’anarchico Pinelli, a mio avviso, sta diventando una di queste.

E’ una vicenda di cronaca ben conosciuta a Milano: Natale del ’69, l’anarchico ferroviere vola dal quarto piano della Questura.

Subito i testimoni si contraddicono, la finestra aperta in pieno dicembre e i tre verbali, ciascuno differente dagli altri, non convincono affatto; inoltre Pinelli, moribondo al Niguarda, è circondato da un cordone di polizia, nessuno può parlargli … poi muore, e a Milano si inizia subito a dire che “el Pino, el Pinelli, l’han masàd”.

Bene … anche mio padre, che ‘sto gran patito di politica non è, conosce questa storia così come ve l’ho riportata, e il marcio che vi sta dietro: pertanto, se quasi 50 anni dopo i fatti narrati io mi reco a teatro, gradirei veder inscenare qualcosa di più della cronaca ideologizzata di quei giorni.

Gradirei percepire prospettive, contrasti, crisi.

Gradirei che il teatro, invece di darmi facili risposte, mi aprisse interrogativi e, quanto meno, scavasse a fondo negli intrighi dell’epoca.

E invece no: un’ora e mezza abbondante di monologo a scena non allestita, personaggi “di destra” cattivi e ritratti come macchiette da filodrammatica, personaggi “di sinistra” etici e perseguitati dal potere, tutto già visto.
Ed è un peccato, perché l’attore ha talento, pathos e presenza: ma, invece di inquietare le coscienze, preferisce ammiccare alle pance.

Infatti, in tutto questo … come reagisce il pubblico?

Il pubblico applaude. Il pubblico applaude deliziato. Il pubblico ha pagato per questo.

Ha pagato e adesso vuole sapere esattamente dove sta la riga che divide i buoni dai cattivi, vuole collocarsi fra i buoni, non gli interessano tante domande: il pubblico vuole avere ragione.

E mentre io lascio andare i miei pensieri alla deriva, mentre sento l’entusiasmo collettivo che cresce al pari della mia noia, mi sorprendo a pensare a quanta nostalgia alcuni ambienti “radical” abbiano oggi di quei poliziotti come Calabresi, che si lasciava proiettare addosso l’ombra del bastardo e della ragion di stato senza spostarsi.

L’unica cosa che mi spiace è di aver lasciato il teatro a sipario alzato: ma sinceramente, riaccese le luci, fra un “cazzo” e un “merda” ogni due minuti, fra le risa sgangherate degli spettatori e l’attore che berciava salutando, credevo che lo spettacolo fosse finito.

Così, come in chiesa, da ragazzina, me la svignavo appena la gente si alzava a fare la Comunione, anche qui ho pensato bene di saltare gli annunci del prete e ho guadagnato l’uscita.

Che altro dire? Niente, davvero, se non sempresialodato.

Mata Hari

 

Lo spettacolo “Il Matto ovvero io non sono Stato” è in scena al Teatro della Cooperativa di Milano sino al 29 marzo 2015. Su www.teatrodellacooperativa.it tutti i dettagli e gli aggiornamenti.