Il prezioso lavoro del traduttore: intervista a Gabriella Gregori

Capita spesso di iniziare un post che contiene una intervista con un ringraziamento. In questo caso specifico, i ringraziamenti sono addirittura due, ed entrambi diretti a Gabriella Gregori.

Dunque grazie, Gabriella, per averci concesso del tempo. E grazie anche, forse soprattutto, per lo scambio di mail e la spinta a prendere in maggiore considerazione il lavoro nobilissimo ed essenziale dei traduttori. Da quando me lo hai fatto notare, nella scheda libro che accompagna le mie recensioni non manca mai, quando applicabile, la voce “Traduzione a cura di…”.

Ciao Gabriella, cominciamo con una domanda che riguarda un po’ tutta la categoria: 3 aggettivi per descrivere un buon traduttore, e il perché di ognuno.

Prima di tutto grazie a te per l’interesse e per avere iniziato a citare il nome del traduttore, è un piccolo gesto molto importante per la categoria. Un buon traduttore dev’essere moltissime cose, i primi tre aggettivi che mi vengono in mente sono pignolo, curioso e umile. Pignolo fino all’ossessione perché la traduzione editoriale è tutto un lavoro di cesello, di equilibrio: bisogna riuscire a pesare l’effetto di ogni parola, di ogni spostamento, di ogni piccola parte del messaggio che inevitabilmente si perde e capire se e come controbilanciare quel vuoto con un “pieno” da qualche altra parte, ma sempre senza rovinare l’equilibrio complessivo del testo. Curioso perché ti può capitare di tradurre, uno dietro l’altro, un racconto di fantascienza, un libro di ricette, un manuale sulle biciclette e la biografia di un boss della mafia americana degli anni Quaranta, con tutte le ricerche che questo comporta. Inoltre tradurre significa soprattutto far comunicare culture diverse e una sana curiosità per tutto ciò che in queste culture vive e nasce è imprescindibile. E umile per due motivi: il primo è che, essendo al servizio del testo, bisogna essere pronti a riconoscere i propri errori o che possa esistere un modo migliore per rendere quella frase, quell’espressione, di quello che proponi tu; il secondo è la tanto sbandierata invisibilità del traduttore, che si deve mettere appunto a servizio del testo e dell’autore senza cedere alla tentazione, magari, di migliorare un testo mediocre o di rendere esplicita una cosa lasciata deliberatamente oscura o ambigua. Il che non significa che il traduttore deva restare invisibile anche “fuori” dal testo, ovviamente! Non sarebbe interessante trovare in ogni libro una nota del traduttore che spiega come e perché è nata proprio quella traduzione che si ha tra le mani e non un’altra?

Sarebbe senza alcun dubbio molto interessante!
Come ti organizzi nel tuo lavoro? Esiste un modus operandi?

Parlando con i colleghi ho capito che non esiste UN modus operandi, ma tanti, a seconda del carattere e delle abitudini del singolo. Ci sono, per esempio, quelli che leggono tutto il testo prima di iniziare a tradurre e quelli che, invece, si tuffano direttamente a occhi chiusi. Io faccio parte di questo secondo gruppo. Prima faccio qualche ricerca sull’autore e sull’argomento se non è tra le mie specializzazioni e poi inizio subito a tradurre. La mia prima versione di solito è già, in realtà, abbastanza curata, con la prima lettura risolvo gli ultimi nodi lasciati e con la seconda mi dedico unicamente alla scorrevolezza, al ritmo, alla naturalezza del testo italiano. Ti svelo anche un piccolo “segreto”: molto spesso l’ultima rilettura viene fatta ad alta voce per “sentire”, non solo letteralmente, meglio il testo.

C’è una traduzione che hai amato particolarmente, e perchè?

Finora ho tradotto principalmente testi non narrativi e tra questi ho amato particolarmente i manuali di Michael Freeman della serie Photo School su cui ho lavorato, “Illuminazione” e “Paesaggi”. Tra la narrativa ho amato molto un racconto di fantascienza tradotto di recente per Future Fiction, “Un buon partito” di Ian McDonald, perché Ian sa raccontare con maestria come si immagina il nostro futuro, scegliendo sempre ambientazioni non banali, in questo caso l’India (no, non aspettarti astronavi e battaglie intergalattiche).

Piccolo viaggio con la fantasia: c’è un autore che sogni di tradurre, o un romanzo in particolare?

Invidio tantissimo i colleghi che traducono Terry Pratchett e Neil Gaiman!

Abbiamo iniziato questa chiacchierata virtuale con un ringraziamento alla figura del traduttore, spesso trascurata. In passato, mi è capitato persino di trovare siti di case editrici che non riportavano il nome del traduttore… Credi che la situazione stia migliorando per quanto concerne il riconoscimento del vostro lavoro, da tutti i punti di vista?

Purtroppo i passi avanti sono stati davvero piccoli, di case editrici che non citano il traduttore nelle schede di presentazione del libro ce ne sono ancora molte e anche nelle recensioni la prassi è ancora molto altalenante, nonostante sia esplicitamente previsto nella legge sul diritto d’autore. Anche sotto l’aspetto remunerativo non ci sono buone notizie: non solo i compensi medi negli ultimi anni non sono aumentati, ma ormai tendono a diminuire e i pagamenti vengono sempre più spostati nel tempo (per non parlare degli editori che semplicemente non pagano…). Qualche passo è comunque stato fatto, anche grazie a STradE, il sindacato dei traduttori editoriali, e la carne al fuoco è ancora molta.

Per chiudere, ci racconti su cosa stai lavorando?

Al momento sto lavorando alla traduzione di un altro racconto per la collana digitale Future Fiction e a un progetto personale con i Dragomanni, un’iniziativa partita da un’idea del collega Daniele A. Gewurz nata anche per incrementare la visibilità dei traduttori. Andate a farvi un giro sul sito, il catalogo degli ebook già usciti è molto interessante: http://www.dragomanni.it/

Un giro ce lo faccio senza alcun dubbio, e chissà che non nasca una nuova possibilità di collaborazione!

Alfonso d’Agostino


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