Recensione del colorato “Gone with The Bullets”

© Beijing Buyilehu Film & Culture Co., Limited

Cina, 1920. Siamo nella Parigi d’Oriente. Un secolo fa Shanghai era caratterizzata da ricchezza, grande apertura e calore, e da una variopinta vita mondana. In questo crocevia di culture, d’intellettuali e cultori del bello, prende il via il quinto film di Jiang Wen. Nella vivace città si sta tenendo un concorso di bellezza. Le concorrenti arrivano da ogni parte del globo per contendersi il titolo, ma alla fine ha la meglio la ragazza (cinese!) che vinse l’edizione precedente, cosa che darà il via ad una serie di eventi inaspettati. Perché, come in ogni metropoli di allora, di oggi e probabilmente di domani, dietro le quinte c’è il solito giro di favori e promesse, qui in un triangolo che coinvolge un imprenditore, un playboy e un poliziotto. A complicare il tutto ci pensa la stessa neo-reginetta che punta i piedi per portare all’altare l’amante di sempre.

Il regista cinese, ancora una volta (l’aveva già fatto nel quarto film, presentato a Cannes), prende un pezzo della storia del suo Paese e lo usa ad esempio per punzecchiare il passato e il presente con il sorriso, facendo sfoggio di caleidoscopici balli e numeri da palcoscenico, attingendo ad allegorie e non disdegnando la pura satira. Target di questo fuoco incrociato è il magico e fittizio mondo patinato che contraddistingue(va) tanto quegli anni quanto la realtà attuale. Il suo è uno stile colorato, caricaturale, canterino, tagliente, arguto e attento a ogni inquadratura, frase, accordo. Il mondo di Jiang Wen è una favola e in alcuni passaggi ci ricorda lo stile narrativo e visivo dell’europeo Michel Gondry. Nulla è lasciato al caso, tutto è funzionale alla battuta e al mettere in scena amori, dissapori e situazioni che scopriamo attinte da una storia vera, di gelosia e vendetta, avvenuta nel medesimo periodo e luogo.

A metà tra il gangster-movie, la parodia e il dramma allegorico “Gone with the Bullets” è un’opera che richiede impegno e attenzione, non è per tutti, sarà apprezzata soprattutto dai curiosi incalliti e/o cultori “duri e puri” della settima arte. Perfetta la scelta di presentare la pellicola nella cornice della Berlinale (ancora ricordiamo l’emozionante apertura dell’edizione 2013 con “The Grandmaster”), ma temo che la distribuzione capillare dovrà attendere un bel po’, nonostante i conoscitori delle origini del grande cinema cinese siano ogni giorno sempre di più anche nel Vecchio Continente.

Vissia Menza

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