Il film EL CLUB: dategli l’orso d’oro!

Quattro uomini e una donna vivono nella stessa casa. Lei si occupa delle faccende domestiche. Loro spendono le giornate in riva al mare o alle corse dei cani. La vita scorre tranquilla. Non hanno i volti allegri. Probabilmente, però, se vivessimo in qualche landa sperduta del Chile avremmo pure noi quell’espressione da incontro ravvicinato con la morte.
Non sappiamo chi siano quelle persone, nonostante il loro umorismo tagliente, sin dalle prime spente inquadrature, ci provoca piccole risate. L’empatia scatta anche se il nostro sesto senso inizia a mandare segnali inequivocabili che di li a breve scopriremo qualcosa di sgradevole.

© Fabula

Come dicevano una volta, sempre fidarsi degli istinti.

Un giorno arriva un nuovo ospite, accompagnato da un prelato e vedere quell’abito fa venire i brividi lungo la schiena, sono preti! E, appena riprendiamo fiato, un vagabondo ci tira il colpo di grazia: si ferma davanti al cancello di quella casetta gialla ben tenuta e intona una nenia che ha dell’agghiacciante facendoci capire che tutti sono destinati all’inferno e noi a sospirare angosciati. La casa è una sorta di refugium peccatorum, è il luogo in cui gli ex-preti (e suore), che devono espiare colpe, trascorrono in “tranquillità” il resto delle loro esistenze dopo aver commesso varie forme di violenza fisica e/o psicologica – pedofilia, comportamenti in vario modo deviati, tutte quelle cose che condurrebbero ad una cella la cui chiave verrebbe buttata via.

Il nuovo lavoro di Pablo Larrain è un film che comunica decisione, chiarezza mentale, voglia di mostrare in modo quieto e pulito ciò che esiste e che ci fa sentire impotenti. La narrazione è senza fronzoli, è parca di dialoghi, è incorniciata da inquadrature spesso sui volti dei sei protagonisti, il che rende tutto quasi un palco teatrale in cui va in scena il più spiazzante dei drammi. La recitazione è granitica, gli attori sono convincenti, in un certo senso sono coraggiosi a indossare i panni di figure tanto scomode e difficili. Per lo più in controluce e/o penombra, gli scambi verbali sono taglienti, sarcastici, ai limiti della normalità. “El Club” ci trascina in un girone dantesco in cui molti elementi appartengono al nostro mondo, nulla ci inganna, anzi, tutto ha lo scopo di trascinarci dentro quelle quattro mura e farci accelerare il battito.

Lo stile scelto è quello dei migliori film noir con molta suspense, senza critica urlata, senza situazioni cosiddette “ad effetto” o conversazioni provocatorie, volgari o gratuite. Ed è proprio questo alone di normalità a conferire al racconto una sua identità, una forza immensa, ciò di cui ha bisogno per avere vita propria. Il regista sa cosa vuole e lo ottiene. Non ci provoca, non dà lezioni e non inveisce, si limita, con attenzione e equilibrio, a mostrare. Il messaggio passa forte e chiaro. L’intelligenza di Larrain sta dentro quelle inquadrature e tra quelle righe di sceneggiatura. La miseria umana, la violenza, l’opportunismo, la distorsione di testi e l’uso della parola per plagiare gli altri e giustificare le peggiori nefandezze sono ovunque, dentro e fuori la Chiesa e, alla fine, spesso, non c’è redenzione.

Credo di aver visto l’Orso d’Oro.

Vissia Menza

Last update on  Oct. 22,2015
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