Panorama è sempre stata la sezione della Berlinale da cui ci si deve aspettare di tutto. I selezionatori non hanno paura d’imboccare sentieri poco popolari o semi-sconosciuti. Qui si osa e opere che scivolano nel politicamente scorretto sono all’ordine del giorno. Parliamo della sezione che in passato ha ospitato la prima “Iron Sky”, “Keep the lights on” e “Interior. Leather bar”, quindi che il nostro sabato sera sia stato in compagnia di “Dyke Hard” poteva avvenire solo a Berlino.
Poco si sapeva prima di entrare in sala, tutti cercavano delle risate, quella leggerezza che inizia a mancare e le premesse vi erano tutte, compresi gli invitati letteralmente addobbati a festa. La sigla, la grafica e l’abbigliamento anni ’80 ci han ben disposto ed hanno subito fugato i dubbi in coloro che temevano di assistere alla rivisitazione mal riuscita del meraviglioso “Priscilla”. Confermo, questo film nulla ha da spartire con “La regina del deserto”.
“Dyke Hard” ci porta nella provincia, anzi in una scuola in cui un gruppo di ragazzini forma una band strampalata e riesce a emergere. Ma, come spesso capita, sono una meteora e cadono nell’oblio. I dissidi interni non tardano ad arrivare e la lead singer si dà alla carriera solista. Il resto dei ragazzi, invece, non demorde e ravvede in un contest tra gruppi musicali emergenti l’opportunità di tornare sulla cresta dell’onda.
Il viaggio verso il luogo in cui si terrà la gara sarà lungo e corredato da una serie interminabile d’imprevisti. I protagonisti stringeranno nuove amicizie e dovranno dimenticare vecchi rancori, il tutto con un’allure retrò, con un make-up eccessivo e indossando spalline più grandi di loro. Il risultato è un’opera leggera, leggerissima, un vero B/C/D-movie, un debutto nato senza un budget che non oso immaginare cosa sarebbe potuto diventare con alle spalle una produzione a stelle e strisce.
La pellicola di Bitte Andersson è una commedia demenziale on the road, farcita d’improvvisati eroi, fantasmi e campioni di arti marziali, che strizza l’occhio al mondo lesbo-gay-queer. E’ un progetto nato da un finto trailer di pochi minuti. Per stare al passo coi tempi, vengono mostrati lembi di pelle, genitali e situazioni inequivocabili, sempre senza mai prendersi sul serio. I toni sono davvero irriverenti, ma tutto scorre con una tale rapidità e naturalezza da non scandalizzare nessuno.
La platea ha risposto bene, quindi la mia domanda è solo una: come mai l’ironia è tanto differente da luogo a luogo mentre la parodia demenziale mette tutti d’accordo? Mentre le persone erano intente a sganasciarsi, solo pochi (tra cui la sottoscritta), nonostante i minuti volassero (cosa che non posso dire sia capitata con altre ben più blasonate proiezioni), non sono riusciti ad abbozzare più di qualche sporadico sorriso.
Un lavoro riuscito, quindi, che ironizza e prende a riferimento il cinema della nostra gioventù, con ampio margine di crescita che dubito arriverà mai da noi.
Vissia Menza
Ennio Flaiano amava ricordare che “Il cinema è l’unica forma d’arte nella quale le opere si muovono e lo spettatore rimane immobile.”, ed è Vissia ad accompagnarci con passione e sensibilità nelle mille sfaccettature di un’arte in movimento. Ma non solo. Una guida tout court, competente e preparata, amante della bellezza, che scrive con il cuore e trasforma le emozioni in parole. Dal cinema alla pittura, con un occhio vigile per il teatro e la letteratura, V. ci costringe, piacevolmente, a correre per ammirare un’ottima pellicola o una mostra imperdibile, uno spettacolo brillante o un buon libro. Lasciarsi trasportare nelle sue recensioni è davvero facile, perdersi una proiezione da lei consigliata dovrebbe essere proibito dal codice penale. Se qualcuno le chiede: ma tu da che parte stai? La sua risposta è una sola: “io sto con Spok, adoro l’Enterprise e sono fan di Star Trek”
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