Il film NOBODY WANTS THE NIGHT con Juliette Binoche apre la Berlinale 2015

Primi del ‘900. Un’elegante donna, moglie devota, decide di lasciare Washington DC alla volta della Groenlandia. Gli istinti le dicono che deve essere al fianco del marito durante la sua ultima, tanto agognata e incredibile impresa: raggiungere per primo il Polo Nord. Nonostante tutti gli amici fidati cerchino di dissuadere Josephine, lei parte alla volta del rifugio in cui si crede sia di stanza il consorte, in vista dell’imminente inverno artico, e orgogliosa non abbandona la meta. Quello che la signora ancora non sa, è che la parte più dura, la prova più ricca che imprevisti dolorosi (sia fisicamente sia psicologicamente) stia attendendola al traguardo.

© Leandro Betancor

Protagoniste di quest’avventura sono due donne circondate solo dagli immensi ghiacci che ricoprono il circolo artico del pianeta. Juliette Binoche è Josephine Peary e Rinko Kikuchi è Anaka, ragazza del luogo che si rifiuta di andarsene da quella landa desolata e pericolosa. Le due attrici sono dirette dalla voce, dallo sguardo, dal polso femminile di Isabel Coixet. Alla regista, abituata al pubblico di Berlino (nel 2009 era membro della giuria), è stato affidato l’arduo compito di aprire la sessantacinquesima edizione della Berlinale e non siamo sicuri che l’inizio sia stato da fuochi d’artificio.

La pellicola di basa su fatti realmente accaduti, su dispute rivangate anche in tempi ben più recenti, e ci mostra un susseguirsi di eventi accompagnati da un estenuante sibilo del vento e da dialoghi non all’altezza delle aspettative nostre e di molti presenti. Il ritmo è singhiozzante e l’opera a tratti si trasforma in una nenia prevedibile e ripetitiva. Affidare a una grande interprete come Juliette Binoche la riuscita di un film non è stato quindi sufficiente a strappare lacrime e/o lasciare sulle spine l’audience, il nostro cuore non è uscito dalla stanza a brandelli.

“Nobody wants the night” non è un dramma provocato dal confronto/scontro tra due figure forti, tra due generazioni, tra due culture, né un melodramma compiuto. Le defezioni in sala sono state molte, l’attenzione non era ai livelli dello scorso anno, l’indifferenza era palpabile e qualche sospiro si è udito forte e chiaro. La magia che abbiamo percepito con “The Grand Budapest Hotel” o “The Grandmaster” non aleggiava nell’aria e ci è dispiaciuto un bel po’.

Vissia Menza

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