Non siamo perfetti, si sa. Ė dalla notte dei tempi che conviviamo col peccato originale. Siam fatti così. Alcuni inciampano, altri cadono e riescono a rialzarsi e poi c’è Vincent, un ormone scorbutico e solitario, innocuo ma che non ama le buone maniere. La vita isolata dell’uomo sta per subire un bello scossone a causa di Maggie, la nuova vicina di casa. Il loro incontro non è dei migliori: i traslochisti della donna, con una formidabile retromarcia, riescono a distruggergli un albero secolare, la staccionata e l’auto d’epoca. Impossibile non sentirsi vicini a Vincent! Ma Maggie ha un asso nella manica: il figlio, uno scricciolo senza padre che se la deve vedere coi bulli della scuola e con il baby sitter: Vincent, esatto, il nuovo vicino di casa.
L’accoppiata avviene per caso, per necessità, quasi per dispetto, ma la sintonia ė istintiva. I due fanno click e non se ne rendono neppure conto. Il bambino riesce a far emergere ciò che di buono è rimasto in un uomo reso intrattabile dalla sofferenza e da un destino ostile. Insieme al piccolo Oliver scopriremo anche noi qualcosa sull’uomo, e presto le battute ci trascineranno nella storia.
Vincent è davvero la summa di molti dei più comuni umani difetti, ha un po’ di tutti noi, e il nostro istinto se ne accorge, riconosce quel qualcosa, ci si aggrappa e… ci mette nel sacco. Prima ci fa ridere con le (dis)avventure dei due, con l’irriverenza e il sarcasmo di Vincent, facendoci tifare per la strana coppia; poi, introduce la nota dolente e ci strappa lacrime amare. Perché anche nella sofferenza che sta logorando il protagonista, riconosciamo un po’ della nostra.
L’inadeguatezza, il lasciarsi andare, la sensazione di essere incompresi e non avere via d’uscita, chi più chi meno almeno una volta ci è passato. E, nonostante la differenza generazionale, culturale e di background (quello sullo schermo non coincide con la nostra vita), in quell’uomo rivediamo noi stessi o un nostro caro e alla fine ne rimaniamo conquistati. Che sia un po’ furbetto o meno non fa differenza, il film non solo funziona ma si fa amare, anche grazie all’attore che veste i panni di Vincent: Bill Murray.
Se vent’anni fa mi avessero detto di scommettere sulla bravura di uno dei Ghostbustes, non avrei arrischiato neppure un centesimo, e oggi me ne sarei pentita. Perché Murray da un certo punto in poi ha iniziato a viziarci: a ogni nuova pellicola ha saputo stupirci e qui non è da meno, riuscendo a portare sulle proprie spalle tutta l’opera. Magistrale. Intenso. Divertente e divertito.
“St. Vincent” è una storia di riscatto dal dolore, di seconda chance dopo l’autodistruzione, è qualcosa di molto americano e molto toccante. Un’opera che riesce a vincere anche la reticenza dei più restii in sala. Con equilibrio, senza troppi giri, va diretta al punto e tocca le corde giuste. Non stupisce che lo scudo, garantito dal buio della sala, abbia concesso alle lacrime di molti di sgorgare copiose.
Vissia Menza
Ennio Flaiano amava ricordare che “Il cinema è l’unica forma d’arte nella quale le opere si muovono e lo spettatore rimane immobile.”, ed è Vissia ad accompagnarci con passione e sensibilità nelle mille sfaccettature di un’arte in movimento. Ma non solo. Una guida tout court, competente e preparata, amante della bellezza, che scrive con il cuore e trasforma le emozioni in parole. Dal cinema alla pittura, con un occhio vigile per il teatro e la letteratura, V. ci costringe, piacevolmente, a correre per ammirare un’ottima pellicola o una mostra imperdibile, uno spettacolo brillante o un buon libro. Lasciarsi trasportare nelle sue recensioni è davvero facile, perdersi una proiezione da lei consigliata dovrebbe essere proibito dal codice penale. Se qualcuno le chiede: ma tu da che parte stai? La sua risposta è una sola: “io sto con Spok, adoro l’Enterprise e sono fan di Star Trek”
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