These final Hours: l’apocalisse in un film ruvido e sudato

Recensione del dramma apocalittico These final Hours – 12 ore alla fine di Zak Hilditch.

Riscaldamento globale, buco nell’ozono, piogge acide, esperimenti atomici, deforestazione, tsunami, ogni giorno siamo bombardati da notizie che non ci fanno ben sperare in un futuro roseo. Catastrofi volute, cercate, indotte, erronee, ce n’è per tutti i gusti e il risultato è sempre il medesimo: prima o poi arriverà l’estinzione. La consapevolezza di essere sulla via dell’autodistruzione non ci impedisce però di continuare ad attentare in vario modo alla nostra salute e sicurezza perché, alla fine, siamo convinti che l’apocalisse non sia dietro l’angolo.

Ora, immaginate di svegliarvi domattina ricevendo l’annuncio che non c’è più via di scampo, che il mondo in poche ore non esisterà più. Un’implosione dei continenti avverrà nelle prossime ventiquattro ore. Tutti polverizzati in pochi secondi, senza nessuna possibilità di salvezza, neppure in eventuali rifugi atomici. Spettatori impotenti difronte alla furia della natura che, in un giorno, riuscirà a vincere l’evoluzione umana e a fare tabula rasa. Come vi sentireste? Sotto shock, senza il tempo di capire, di metabolizzare la situazione, verreste presi dal panico, dallo sconforto e, probabilmente, da un campionario di raptus e frenesie incontrollabili. E poi? In che modo vi piacerebbe spendere le ultime ore sulla Terra? Sorseggiando una bottiglia d’annata e leggendo un buon libro, oppure abbracciati all’amata o, ancora, danzando alla festa più eccessiva del circondario, sorta di anestesia in attesa dell’ineluttabile?

These final Hours – Photo: courtesy of Indie Pictures

James (Nathan Phillips) è un trentenne grande e grosso, è come tanti di noi ed ha una gran paura, ma non vuole mostrarsi debole, quindi decide di attendere la fine del mondo ad una festa al fianco di amici e fidanzata, con la recondita speranza di svegliarsi dall’incubo e scoprire che era solo un brutto sogno, cosa che, in cuor suo, sa non accadrà.

Diretto dall’australiano Zak Hilditch, These final Hours è un piccolo gioiello. Selezionato alla Quinzaine des Réalisateurs del 67° Festival di Cannes, il film narra il percorso di crescita di James, le cui ultime ore di vita saranno illuminanti e ricche di scoperte, incontri e imprevisti. Sulla sua strada il nostro eroe incrocerà una bambina, Rose (Angourie Rice), destinata al peggio ancor prima della fine. La loro breve ma intensa parentesi dal delirio generale, oltre a salvare la piccola, scuoterà l’uomo, anche se (forse) sarà troppo tardi.

These final Hours è un’opera intensa, calda e avvolgente come un lungo e malinconico abbraccio. È claustrofobica nonostante sia per lo più girata in esterni. L’avvicinarsi della tragedia ci fa sudare con il protagonista, complice una luce accecante, il surriscaldamento globale e quella fotografia ricorrente nelle opere girate da australiani: incisa, quasi monocromatica, soffocante. Una tragedia che prende pian piano forma e diviene sempre più disarmante, in cui nulla è lasciato al caso, tutto è pensato e neppure l’immondizia, dimenticata per strada, viene tralasciata nella rappresentazione di un quartiere borghese abbandonato a sé stesso.

These final Hours – Photo: courtesy of Indie Pictures

Ho visto un film sudato e ruvido. Com’era capitato con Animal Kingdom e The Rover, anche oggi ho avvertito il clima, il dramma, l’ineluttabilità. Senza piagnistei, con dialoghi asciutti e movimenti di camera quieti, ma non casuali, l’opera ci tira una serie di stilettate al cuore. Non c’è cinismo o voglia di infierire, l’autore con semplicità e senza trucchi ci tocca e ci lascia senza parole. These final Hours è realistico e triste: ci mostra come potrebbe essere una vera apocalisse. L’uomo darà il peggio di sé sino alla fine dei giorni? Comprenderà solo allora quale fosse la propria strada? A quel punto, però, ci sarà tempo per redimersi e, soprattutto, avrà ancora un senso?

La sensazione, uscendo dal cinema, era di voler rientrare per soffrire ancora e ancora. Perché questo lavoro, incredibilmente a basso budget, è stato tanto doloroso quanto di una bellezza inattesa.

Vissia Menza

 

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