Ci sono film che ti sfuggono, che non riesci mai ad intercettare, di cui non senti parlare sino al giorno in cui sul web esplode un interesse tale per cui in poche ore tutti ne scrivono, mormorano, meditano con la medesima opinione… entusiasta. La curiosità a quel punto è incontenibile. È gioco forza: cos’è questo film? Chi sono gli interpreti e il regista? A quale festival è stato presentato? etc. etc. etc.

In questi casi, spesso, l’opera è proposta al grande pubblico come cine-evento, un po’ per testare le reazioni dei più, un po’ per tenere alta la curiosità. La corsa alla sala, che per uno o due, nel migliore dei casi tre giorni terrà il film in cartellone, diventa una vera e propria caccia al tesoro che non accettiamo di perdere. A me è capitato con “Frank”.

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Il film diretto dal regista irlandese Lenny Abrahamson, presentato al Sundance 2014, che si dice sia ispirato alla vita (reale) di tre musicisti, ruota intorno alla figura del talentuoso ed eccentrico “Frank”. L’uomo ha la particolarità di indossare costantemente una maschera di cartapesta e, nonostante ciò (o forse proprio per questo motivo), riesce ad essere un tale leader da trascinare – e stremare – la sua eclettica band su un’isoletta sperduta per ricreare il sound perfetto e incidere il nuovo album.

La storia di Frank è narrata dal suo tastierista, Jon (Domhnall Gleeson, visto in “About Time”) che durante il ritiro creativo, condivide sul suo blog e su Youtube stralci della quotidianità attirando l’attenzione di più di un follower, cosa che stravolgerà gli iniziali piani del gruppo e le vite di alcuni, tra cui quella di Jon e Frank.

Photo: courtesy of I Wonder Pictures

Photo: courtesy of I Wonder Pictures

Sotto la maschera di Frank c’è Michael Fassbender, che ci regala l’ennesima ottima performance. L’attore a ogni nuova sfida vince e si conferma un fuoriclasse. Qui al corpo e alla voce ha affidato l’arduo compito di rendere credibile una rockstar che pian piano crolla per lasciare il posto all’uomo. Al suo fianco, c’è Maggie Gyllenhaal alias Clara, musicista introversa, piuttosto squilibrata, iper-protettiva e attratta da Frank, anche se l’elemento destabilizzante sarà il narratore Jon, la persona apparentemente più ordinaria e quieta.

La ricostruzione della vita da rocker alternativi impressiona per la sua aderenza a ciò che da sempre aleggia nell’immaginario collettivo. La quantità di sigarette fumate, e le note stridenti, pure. Il film è talmente indie da non stupire che il suo debutto sia avvenuto al Sundance e che quindi ora piaccia a tutti, anche a coloro che non l’hanno visto e/o capito. Perché, a essere onesti, senza una visione in versione originale, la recitazione di Fassbender (e molto altro), si può solo intuire, tanto più che le opere indie attingono a una cultura affine ma non identica alla nostra.

Photo: courtesy of I Wonder Pictures

Photo: courtesy of I Wonder Pictures

La pellicola, nel suo insieme, su di me ha avuto un impatto moderato. Alcuni frammenti mi hanno ricordato la scena musicale dei primi anni ’90 in altro continente. Il protagonista, invece, mi ha conquistato. Non mi stupisce quindi che il lavoro di Lenny Abrahamson sia riuscito nell’arduo compito di far breccia nei cuori di molti: il pubblico accorso alle anteprime nazionali delle ultime settimane è rimasto incantato da “Frank”, nonostante a prima vista non sembrasse un film per tutti. L’incedere verso il dramma, la musica carica di sofferenza, lo scivolare verso l’oblio, insomma, lo smarrimento e la tristezza di fondo sono stati compresi, condivisi e amati. Bravo!

Vissia Menza

Ultimo aggiornamento il 14 novembre 2014 alle ore 14:40