Troppi difetti nel Dna di questo film – Recensione di ANNIE PARKER

Anni ’70. La ventenne Annie Parker vive a Toronto, sposata con l’eccentrico coetaneo Paul, chitarrista rock fallito che tira avanti pulendo piscine, con cui ha un rapporto intenso e appassionato. Quando aveva 11 anni sua madre era morta per un tumore al seno, come prima di lei la nonna e una cugina, e di cancro muoiono nel giro di pochi anni anche il padre e la sorella di 37 anni. Annie comincia ad esserne ossessionata, marito e amici non sanno più come prenderla. Il suo non era solo pessimismo: un carcinoma al seno le viene diagnosticato nel 1980, a 29 anni. Guarisce. Il marito, codardo, la trascura e la accusa di trascurarlo (poverino!), gli ripugna tornare a fare sesso con lei e finisce a letto con la migliore amica della moglie. Nel 1988 Annie è colpita da un cancro alle ovaie, ma questa volta, durante il tormento della chemioterapia, ha accanto un nuovo affettuoso compagno, un vedovo presentatole dall’infermiera del suo medico. Riuscirà a sconfiggere un altro tumore nel 2004, a 53 anni: insomma, una donna indistruttibile.

Aaron Paul e Samantha Morton in una scena del film

Parallelamente all’Università di Berkeley seguiamo la quarantenne genetista Mary-Claire King. Contro la convinzione universalmente diffusa fra i medici, sente che le “famiglie sfortunate” non esistono, è caparbiamente convinta dell’ereditarietà del tumore al seno e intende dimostrarlo attraverso la sequenziazione del Dna di decine di malate. Sostenuta solo da un paio di colleghi, del tutto priva di sponsor e con l’aiuto di un team composto da una decina di studenti, nel 1990 riesce finalmente a dimostrare che un singolo gene sul cromosoma 17, più tardi conosciuto come BRCA1, è responsabile di molti tumori al seno e alle ovaie, e che almeno il 5% dei casi di cancro al seno è ereditario.

Helen Hunt in una scena del film

 E’ il racconto alternato di due vere lottatrici, due donne quasi coetanee e così diverse, che da due lati del fronte combattono per sconfiggere lo stesso orrendo nemico. Il cast è di alto livello: Samantha Morton, molto appesantita e fuori forma, è un’appassionata, commovente, inarrestabile Annie; sulle sue spalle si regge tutto il film. Un’algida, rinsecchita e palesemente annoiata Helen Hunt è la dottoressa King (che si affretta a brevettare il gene appena scoperto, perché “è così che si fanno i soldi”). Uno stralunato e variamente imparruccato Aaron Paul interpreta il marito fedifrago e una lunga serie di buoni attori, dai solidi trascorsi cinematografici e televisivi, appare in piccole e piccolissime parti. Nonostante le buone premesse e il ricco cast il film non solo non decolla, è proprio insopportabile.

La responsabilità è tutta del debuttante regista Steven Bernstein. Onesto direttore della fotografia in una quarantina di titoli, si è talmente appassionato alla storia di Annie da dedicarsi per anni solo alla realizzazione di questo film. Ha scritto la sceneggiatura e in mancanza di finanziamenti adeguati si è venduto un aereo, poi la casa e persino l’auto. Ci ha messo 10 anni a far partire la produzione, con l’intero cast stipendiato ai minimi sindacali. Purtroppo la sceneggiatura è fastidiosamente dilettantesca e troppo spesso somiglia pericolosamente a certi programmi tv pomeridiani di “vita vera”, dilungandosi nel patetico. E siccome il tema è pesantuccio, per alleggerirlo l’autore ha avuto l’infelice idea di inserire dei siparietti umoristici, come la penosa gag più volte ripetuta dell’addetto alle pompe funebri che tampina Annie durante i tanti funerali, o i suoi surreali monologhi allo specchio quando perde i capelli a causa della chemio.

Bradley Withford, Rashida Jones, Samantha Morton, Corey Stoll in una scena del film

Tutta la parte relativa ai 14 anni di ricerche di Mary-Claire King, che si svolge esclusivamente all’interno di un’unica stanza, ignorando totalmente il privato della dottoressa, è tirata via malamente. Capisco che il budget era limitato, ma si poteva fare qualcosa di più di una serie di lezioncine “Genetica per idioti”, con ricercatrici carine con occhiali cerchiati (come da stereotipo) che illustrano pacchi di statistiche su grandi fogli scritti coi pennarelli neri e rossi appesi alle pareti di una sala riunioni, mentre gli altri intorno annuiscono col capo. Le due linee narrative finiscono perciò per essere molto squilibrate: strappacuore, tutta passione e viscere la storia di Annie Parker, noiosetta, tutta cervello e aridi dati quella di Mary-Claire King.

Le buone intenzioni non bastano per fare un buon film: questo si può vedere giusto in tv mentre si stira o si sgranano piselli. In Italia viene distribuito il 30 ottobre collegandolo al Mese per la Prevenzione dei Tumori al Seno. L’idea è di sensibilizzare le donne sane alla cura di sé e insieme incoraggiare le malate, offrendo loro una storia di speranza. Ma francamente i 2 milioni di dollari usati per realizzarlo sarebbero stati meglio spesi in una donazione per la ricerca.

M.P.

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