Recensione del film “The Judge”

Hank Palmer è un avvocato dalla carriera inarrestabile, colleziona solo vittorie, è un principe del foro adorato dai colpevoli e temuto dai colleghi che difendono le controparti. Le frustrazioni per gli opponenti di Hank superano le rivincite professionali e si estendono sino alla vita privata, a prima vista da vero fuoriclasse, di Hank: moglie dal fisico statuario, figlia dolce e sorridente, casa da sogno, auto d’epoca. Ma, anche Hank ha un punto debole, un nervo scoperto, che sta per diventare di dominio pubblico.

Con la morte della madre, l’uomo torna nella cittadina dell’Indiana dove è cresciuto. Li incontra gli ex-compagni di scuola, di giochi e ragazzate, e le immancabili fidanzatine di un tempo. Ma Hank deve affrontare i suoi demoni, primo tra tutti quel padre inflessibile, quel giudice temuto, quell’uomo che non ha mai fatto un mea culpa o un passo indietro rispetto alle posizioni durissime tenute in passato, che ancora oggi fatica a costruire un rapporto con quel figlio ex-testa calda, testardo, ora divenuto un vincente.

ROBERT DOWNEY JR. e ROBERT DUVALL  in Warner Bros. Pictures’ and Village Roadshow Pictures’  “THE JUDGE” – Photo: Courtesy of Warner Bros. Pictures

Pochi giorni dopo aver sepolto la madre, Hank si trova d’improvviso bloccato in quel luogo carico di ricordi e dolori, perché un evento inatteso, un’accusa tutta da dimostrare, coglierà non solo lui ma tutta la comunità in contropiede.

“The Judge” riunisce diversi grandi attori nella stessa pellicola, all’interno della medesima aula. Il Giudice è un mastodontico Robert Duvall, tenero nella malattia, insopportabile nell’arroganza, impossibile da far ragionare. Hank è Robert Downey jr (che del film è anche produttore), sempre simpatico, sempre macchietta, sempre con mille smorfie che lo avvantaggiano nel duro lavoro di conquistare il pubblico. Spalla dei due è un vero gigante, Vincent d’Onofrio, un omone che nella storia è offuscato da Hank, il fratello affascinante, eclettico e in rotta con il padre. Il trio se la vedrà con un sinistro pubblico ministero impersonato da un sempre misurato e perfetto Billy Bob Thornton.

BILLY BOB THORNTON, ROBERT DOWNEY JR., ROBERT DUVALL e DAX SHEPARD  in “THE JUDGE” – Photo:Courtesy of Warner Bros. Pictures

Il film narra, con un tocco di suspense, un intimo dramma famigliare che diviene pubblico. Le debolezze di ogni personaggio, la riunione di più generazioni sotto lo stesso tetto, le differenze tra la realtà metropolitana e quella rurale sono elementi che contribuiscono a rendere l’opera universale e a facilitare l’immedesimazione di noialtri in sala. I torti dei padri, il non saper perdonare dei figli, le gelosie tra fratelli, l’influenza del background culturale e i fantasmi del passato di cui non sappiamo liberarci, sono temi senza tempo e senza frontiere che fanno breccia nei nostri cuori. Io stessa, in molte battute e in alcune inquadrature, mi sono sentita più al-di-là che al-di-qua dello schermo.

La pellicola ha aperto l’ultima edizione del Toronto Film Festival e non è difficile comprendere la scelta. La storia è molto americana, le situazioni sono a stelle e strisce e anche lo schema narrativo presenta uno spiccato marchio di fabbrica. Questo è il suo maggior pregio, quasi un sigillo di garanzia di ottimo cinema, ma nel Vecchio Continente potrebbe essere un impedimento.

ROBERT DUVALL in “THE JUDGE” – Photo: Courtesy of Warner Bros. Pictures

La standing ovation ci sarà laddove si comprenderanno/ condivideranno retaggi culturali e storie di vita; nei luoghi dove l’onore e l’integrità hanno ancora un senso, in cui vige il rispetto per le scelte (e gli errori) altrui e le persone non hanno perso di vista la propria umanità. Insomma, dove certi argomenti non sono percepiti solo come impolverati cliché. Perché questi sono gli elementi messi in risalto dalla sorprendente recitazione di Robert Duvall, riuscita addirittura a offuscare il sempre bravo, ma eccessivamente sotto i riflettori, Robert Downey Jr..

“The Judge” è grande cinema, dimostra che anche il melodramma possa essere intrigante, e quel finale, che ad alcuni farà  storcere il naso, è ciò che lo rende migliore di altre opere. Io mi sono emozionata per la storia, per la recitazione e, come accadde per Trintignant qualche anno fa, per Robert Duvall: ci vuole coraggio, alla sua età, a vestire i panni di un anziano che deve fare i conti con la propria vita e con un fisico stanco. Chapeau!

Vissia Menza

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