Da oggi al cinema: il film grottesco “Belluscone”

L’Italia di oggi. L’Italia di Renzi, di Berlusconi e dei loro fan. L’Italia delle canzonette, di Ramazzotti e dei cantanti neomelodici, per lo più napoletani, che spopolano nei quartieri del Sud. L’Italia che spesso non comunica, divisa tra un Sud e un Nord che talvolta paiono troppo distanti e diversi. L’Italia che vede la crisi economica degli ultimi anni come appesa a un sottile filo e direttamente legata alle sorti dell’’ex-Premier.

L’Italia è fatta non solo di eccellenze, di menti illuminate, di opere d’arte inestimabili e di infinite varianti delle medesima ricetta che rendono pure i più piccoli anfratti mecca dell’alta cucina. L’Italia è fatta anche di credenze e storie di cui non possiamo vantarci.

La fuori c’è un Paese a cui manca Berlusconi, che vive nella convinzione che fosse l’unico in grado di sfamare il popolo e in cambio gli da(va) una vagonata di voti, pubblicamente lo idolatrava e contribuiva attivamente alla propaganda. Oggi parliamo di quell’Italia grazie al regista Franco Maresco. L’autore di Cinico TV, con il suo modo anticonvenzionale e tagliente, da anni voleva girare un film su Berlusconi e sui suoi legami con la mafia. Dal giorno in cui iniziò a filmare e fare ricerche, è passato molto tempo, troppo: il Cavaliere non è più Presidente del Consiglio e molti dei protagonisti della sua discesa in campo non sono più disponibili, per i più vari motivi.

Tatti Sanguineti – Photo: courtesy of Parthénos

Il regista palermitano ad un certo punto pare finire in un cul de sac e Tatti Sanguineti cala da Milano alla ricerca dell’amico, del geniale autore, dell’uomo dalla mente sagace con una propensione alla risata colta e dissacrante. Il documentario, forse un vero film di finzione, si tramuta quindi in un film nel film dedicato al blocco subìto dall’opera, un dietro le quinte, un vero making of, di “Belluscone – Una storia siciliana”.

Maresco, per mezzo del novello Virgilio Sanguineti, ci mostra le difficoltà incontrate per portare a termine un progetto non gradito a molti e, soprattutto, ci mostra quel lato della Patria che non vorremmo vedere. Quindi andiamo a Palermo, città in cui molti pare si siano sposati prediligendo il 19 maggio e il 23 luglio, in cui nessuno pronuncia il lemma “mafia”, in cui ogni famiglia ha qualcuno dietro le sbarre, amorevolmente soprannominato “ospite dello Stato” e sempre salutato con una dedica nei programmi delle TV locali e nelle serate canore in piazza.

È proprio grazie ai cantanti popolari nel caldo meridione che il signor Belluscone raccoglie consensi carichi di entusiasmo. Perché la musica neomelodica tanto sconosciuta nelle regioni delle risaie, da Napoli a Palermo si è trasformata in un genere di culto che ci ha fatto sobbalzare più e più volte con i suoi colorati inni a Berlusconi e alla non violenza (senza intromettersi nella cronaca locale).

Il cantante Vittorio Ricciardi – Photo: courtesy of Parthénos

Non so dirvi se inizialmente l’autore avesse in mente di offrire al pubblico un’opera tanto inclassificabile (che passa dal documentario, al mokumentary, sino alla fiction), una vera panoramica impietosa, grottesca, triste e drammatica di quell’Italia che è ovunque e che ai nostri occhi appare molto diversa da come ce la raccontavano da piccoli.

Entriamo nei quartieri cosiddetti ad alto rischio, conosciamo gli idoli delle ragazzine, sentiamo la voce del popolo e stralci di conversazioni con il talent scout più noto (e potente) della zona: non possiamo arrestare le risate, spontanee anche se dal retrogusto così amaro da bruciare e far male all’animo.
“Belluscone” si è meritato ogni singolo applauso ricevuto a Venezia71, e ora mi unisco al coro di coloro che vorrebbero riuscisse a gremire i cinema con speranza che la gente porti a casa, grazie a quelle risata liberatoria, una piccola lezione.

Vissia Menza

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